Tutti sanno che Si alza il Vento è stata l’ultima opera targata Hayao Miyazaki. Il Nostro vive un pensionamento attivo e attivista, com’è nel suo carattere. Ultima, ma non ultima, notizia pervenuta è quella che lo ritrae nella pulizia della foresta Fuchi no Mori, la foresta di Totoro (ovvero quella che ha ispirato l’ambientazione del lungometraggio) in compagnia di alcuni volontari. Ogni settimana, peraltro, offre il suo aiuto a chi vive nella zona per mantenere limpido il fiume. Altro che nonno – vigile. Miyazaki porta avanti, con la sobria caparbietà di un sensei, quelli che sono da sempre i suoi principi etici, privo di quella smania di arrogante saccenteria che colpisce, ahimè, molti ambientalisti/animalisti dell’ultima ora. Intendiamoci, i principi sono spesso condivisibili, ma l’attitudine a trasformarli in dogmi inviolabili (altrimenti muori di morte violenta) è un atteggiamento molto in voga ultimamente. Che mi urta i nervi e mi istiga il desiderio di far esplodere le discariche e andare a caccia di criceti. Chiaramente poi mi passa, perché sono più sana di mente di quanto crediate, e penso che nel mondo esiste Hayao Miyazaki e come lui, molte altre persone sagge da cui imparare.
Hell, proprio qualche giorno fa, ha scritto un articolo su David Bradley e sui vecchi immortali del cinema. Miyazaki, classe 1941 (come mio papà) è, senza ombra di dubbio, tra i vecchi più importanti della mia vita. Con lui ho imparato a disegnare, grazie alla fissa per Heidi che avevo da piccina. E, in seguito, ho continuato a emozionarmi coi suoi strabilianti lavori. Sapete, tempo fa qualcuno mi ha detto che gli anime di Miyazaki non sono adatti ai bambini della seconda infanzia, nello specifico si parlava di Laputa, poiché i disegni sono ambigui, ci sono dei cattivi cattivissimi e i pirati. Inutile dire che non condivido tale pensiero, ma mi ha imposto una riflessione. Davvero, oggigiorno, possiamo temere i contenuti delle opere di Miyazaki e valutarli come negativi? Ritengo anch’io necessaria una scelta tra le opere, Porco Rosso o La Città incantata sono troppo complessi ed è necessario essere un pochino più grandi per fruirne al meglio. Ma non credo facciano male. Credo, piuttosto, che siano indispensabili. Oggi più che mai. I bambini che non affrontano la paura scoprendo il Male soffriranno in futuro di molteplici frustrazioni. Il Male che, come in ogni fiaba che si rispetti, alla fine viene sconfitto. E non può che essere un valore imprescindibile nello sviluppo di ogni singolo bambino.
Laputa è assolutamente adatto ai bambini di 4-5 anni, voglio dirlo chiaramente. Sempre se si concepisce il fatto che sia auspicabile la visione in compagnia dell’adulto, non per un pericolo di trauma in agguato, ma perché certe meraviglie è bello condividerle. Oppure lasciateli lì da soli, inebetiti dinnanzi a Peppa Pig. A voi la scelta.
Ho deciso di vedere Si alza il Vento da poco. Mi è costato un po’ attendere, ma una parte di me non era pronta alla visione dell’opera ultima di Miyazaki. Poi, però, mi sono decisa. E il risultato è stata una diga rotta di lacrime.
Si alza il Vento si ispira al racconto omonimo di Tatsuo Hori e narra la storia del giovane Jirō Horikoshi, che sogna di pilotare aerei nel Giappone del 1918. Ma il suo desiderio viene troncato di netto a causa della sua miopia. Un giorno gli appare in sogno il progettista di aerei Giovanni Battista Caproni, che gli suggerisce di non arrendersi e di seguire le sue orme.
“Il progettista è colui che conferisce forma al sogno”, lo incoraggia Caproni. Ed è la chiave di lettura più importante di tutto il film. Siamo tutti progettisti dei nostri sogni, qualunque essi siano.
Privo degli elementi fantastici tipici dei suoi lavori precedenti, questa volta Miyazaki sceglie di raccontare, a modo suo, la biografia di Horikoshi, parlando tanto di sé e delle sue passioni. La prima, tra tutte, quella del volo. La seconda, quella dell’Italia. Cosa che sbalordisce, inutile negarlo. Eppure Miyazaki non ha mai nascosto l’amore per il nostro strano paese, trasmettendolo a tutto il mondo, grazie alla figura onirica dell’ingegnere trentino Caproni. Il nipote, Italo Caproni, è rimasto senza parole, domandandosi come sia riuscito il regista nipponico a rappresentare così bene suo nonno. Ha anche partecipato più volte alle proiezioni del film (un mio amico me l’ha confermato). Ciò mi riempie il cuore di orgoglio, tanto amore equivale ad altrettanta dedizione nel voler raccontare egregiamente dei personaggi realmente esistiti, e se tra questi c’è anche un italiano, come posso non essergli grata? In un periodo storico ove collezioniamo figuracce, meschinità d’ogni sorta, ignoranza a profusione, Miyazaki ci ha regalato qualcosa di prezioso: l’ammirazione.
Si alza il Vento è, senza alcun dubbio, l’opera più intima e personale del regista, rigorosa nel raccontare la storia del Giappone (che noi poco conosciamo) nei primi 30 anni del ‘900, prendendo come protagonista assoluto, per la prima volta, un personaggio realmente esistito. Horikoshi, colui che inventò il Mitsubishi A6M Zero, l’aereo straordinario rimasto nella storia dell’aviazione, utilizzato poi dall’impero giapponese nella Seconda Guerra Mondiale. Una guerra che Miyazaki racconta a modo suo, mostrandone le difficoltà e le ripercussioni sul suo popolo, e sul protagonista. Ogni sogno, portato avanti con fedeltà estrema, ha delle conseguenze. Qualcosa, inevitabilmente, sei costretto a perdere. Magnifica la storia d’amore tra Horikoshi e Nahoko, colma di tenerezza, rispetto e affetto. Non poteva mancare, anche in quest’opera, una figura femminile di enorme spessore.
Si alza il Vento è un film complesso nei contenuti, quindi di difficile comprensione per i più piccoli. Ma in esso padroneggiano messaggi indispensabili per tutti i giovani che, in quanto tali, coltivano sogni.
Ma io credo che sia rivolto a tutti noi. Come sempre. Lo palesa un commovente finale, di rara poesia.
“Le vent se lève… II faut tenter de vivre!” (Paul Valéry)
“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere”. Sarà fatto, sensei.
Link utile: Il Bollamanacco di cinema