Negli ultimi tempi sto leggendo Crichton, Howard e Girola.
Li conoscete tutti e tre. Il terzo è Alex McNab. Che poi si stupisce, questo è quello che fa, e si compiace anche, com’è giusto che sia anche se stavolta stupisce me, di comparire nello striminzito elenco degli autori e dei relativi libri da me recensiti. Libri ne ho letti molti. Troppi. Di pochissimi ho deciso di scriverne.
Recensire è improprio. Il mio scopo non è scrivere recensioni. E, se uso “recensione” nelle tag agli articoli, quello è solo un trucchetto per essere indicizzati prima e meglio dai motori di ricerca, sappiatelo. Non ho mai preteso di diffondere il verbo.
Diciamo che vi fornisco la mia visione della storia.
Resta il fatto che, complici anche le mie scarse capacità visive, [l’astigmatismo mi costringe a brevi e veloci letture, altrimenti sopraggiunge un mal di testa feroce che mi manda a letto] apprezzo molto i racconti, brevi o lunghi. Insomma, di una cinquantina di pagine o giù di lì.
Alessandro ne ha scritto e pubblicato uno. Gratis. Lo fa spesso, scrivere e pubblicare, ma solo un’altra volta ho deciso di scriverne dopo averlo letto.
Sono un lettore dai gusti difficili. È notorio. E, se non lo è, dovrebbe esserlo, e lo sarà. Sono un tipo difficile.
Sono anche un tipo onesto. Onesto fino alla nausea. Se ne accorgeranno i finalisti del concorso…
Del suo Bagliori da Fomalhaut mi sono piaciute delle cose, altre meno. Una cosa importante, però, questo racconto leggero leggero è riuscito a fare: intrattenermi per un paio di ore.
Il ché, di questi tempi, e sempre considerando i miei gusti, è impresa difficile.
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Davide Mana mi ha anticipato in questa pseudo-recensione, chiamiamola così, rafforzando quella che di certo corrisponde all’impressione di alcuni lettori dei nostri blog, e di altri. Ovvero che la nostra sia una specie di piccola congrega, una camarilla di blogger che se le sparano e se le tirano e si fanno le seghe a vicenda.
Be’, non è così. Niente seghe.
Se ci avete seguito e letto, soprattutto letto, con attenzione, lo sapete già che non è così.
Se siete convinti del contrario, solo il tempo parlerà a nostro favore.
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Bagliori da Fomalhaut, dicevo. È uno di quei testi che potrebbe essere preso seriamente in considerazione per una fiction da passare sulla televisione italiana. Non scherzo e non esagero neanche.
A pensarci, non so se sia un complimento, oppure no. Dipende da come uno guarda a un certo tipo di televisione italiana. Diciamo che il precedente vuole esserlo.
Prendete per esempio KORÈ – l’Isola dei Segreti o le altre cose andate in onda l’estate scorsa. Questi Bagliori sono meglio. Non c’è storia.
Sono confortevoli perché si aggirano in territori familiari al lettore, ma non troppo da risultare stereotipati, e ci sono dei sentimenti veritieri a fare da contraltare.
E, quando parlo di sentimenti, non mi riferisco a quelli zuccherosi.
In più, non so se in altri lavori Alex l’abbia già fatto perché non li ho letti tutti, ma qui il finale ci sta dentro, non troppo originale, ma perfetto come esito dell’intreccio. Un finale diverso, più buonista, sarebbe risultato posticcio e insopportabile.
Dall’altra parte non mi piacciono i monaci, che mi sono troppo familiari, non mi piace la raffigurazione di Lia, la protagonista, poco emo e accusata ingiustamente di essere tale, e lei sì un po’ stereotipata. Non vuol dire che di ragazze come lei non ce ne sono, anzi, ce ne sono fin troppe, è questo il punto. Oltre alla mia incessante ricerca di originalità. E non mi piace lo spiegone a due terzi del testo. Dove in due paginette c’è una valanga di rivelazioni che fuggono via così velocemente come sono giunte.
Condensazione, dico io, ma non a scapito dell’attesa. Che è tutto in casi come questi. E, per attesa non intendo cinquanta, cento pagine in più, ma una ventina appena. Da novanta pagine a centodieci il salto è breve.
Mi piace, d’altronde, la versione ittica delle creature celesti, il recupero di antiche tradizioni popolari e della relativa simbologia, i riferimenti alle ghost town e quelli astronomici che si sposano, come spesso accadeva, con la religione e la fede, e ad alcune teorie della fisica che guardano con benevolenza alla fantascienza e al mistero.
E, se mai questo racconto dovesse essere preso in considerazione per una miniserie estiva, sappi, caro Alex, che ti tocca Garko e la Chiatti, o chi per loro, nel ruolo di Max e Lia. Questa è la realtà. Ma, chissà, per certi attori italiani credo che la colpa sia solo dei registi e degli sceneggiatori, loro, in fondo in fondo, non sono neanche male (Laura, almeno).
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Conclusione è che una piacevole lettura è stata meglio del vuoto siderale trasmesso in tv nella notte di Halloween.
A tal proposito, volevo domandarvi, ma qualcuno di voi è riuscito mica a vedere un film dell’orrore, nella notte degli orrori?
A domani
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