L'Attico

Una vita normale

fightclub_buildings

Ieri ero collegato online con alcuni amici e a un certo punto è scattata l’idea di accendere la TV e guardare Masterpiece.
Ovvero, il talent show sulla scrittura, sul nuovo scrittore da centomila copie assicurate. Stampate, per lo meno in teoria, se la trasmissione avrà un futuro.
Che siano anche copie vendute, be’, se ne può discutere…
E ora, mettiamo sul tavolo un po’ di verità:

se non m’avessero ricordato che ieri iniziava quel programma, io Masterpiece non l’avrei guardato, dedicandomi a un paio di film di Jon Woo durante la sua fase hollywoodiana: Broken Arrow e Face-Off. Sì, ieri sera avevo voglia di cinema impegnato.

Non guardo la TV, men che mai raitre, il “canale intellettuale”. Perché nella mia vita sono sempre stato alla larga da chi ha bisogno di darsi una definizione o un manifesto. Se si è intellettuali, lo si è nei fatti, non c’è bisogno di far marciare gli sbandieratori.

Ma… era nelle mie intenzioni di guardare comunque, se non ieri un altro giorno, almeno una puntata di Masterpiece. Perché… noverim te, noverim me. Oppure conosci il tuo nemico e almeno un centinaio di altri motti della saggezza popolare e non. Perché di solito mi piace approfondire una cosa, farmi una mia idea e non seguire il sentito dire.

L’ho guardato, l’ho trovato ridicolo sotto ogni aspetto e ho spento la tv, consapevole che passeranno mesi, prima di riaccenderla. Ho fatto l’esperienza, diciamo.

***

octopus woman

Poi però ho fatto un errore. Siccome sono in procinto di pubblicare un ebook a cui ho lavorato per mesi, non ho resistito a trasferire il file definitivo sull’ereader e a dare, maledetto me, l’ultima lettura, prima di darlo in pasto al pubblico.

Ebbene, strana cosa è la scrittura.
Se ne sta lì, su pagine elettriche, a dormire, fingendosi di bell’aspetto, trasmettendo emozioni diverse ogni volta, pur restando le parole identiche, sottacendo lo schifo in essa celato: i sassi nello stagno. Gli orrori del periodo, le similitudini facili facili: “attaccarsi al braccio come fosse zavorra”. Questa merda, sono stato capace di scrivere.

E il bello è che me ne sono accorto da solo, dopo mesi.
Capita sempre così. Per fortuna.

E così, sapendo di essere in grado di scrivere molto meglio di così, stamattina mi sono seduto alla scrivania, non mi sono nemmeno lavato la faccia, e ho riletto tutto, pescando la merda dalle pagine, col retino.
La pesca è stata abbondante. E terrificante.
Perché grande è il terrore che ti prende quando, convinto di aver scritto bene, guardi il testo, quel testo che conosci a memoria, ed è come se l’avesse scritto un altro te, un te rincoglionito e assonnato. E a nulla vale la scusa che, quando l’hai scritto, non ci stavi tanto, con la testa, complice il periodo incasinato.

***

La scrittura è una roba dannatamente seria. Non ti puoi sedere al tavolo con essa, e trattarla come una cara amica. Con lei ci devi fare a botte. Solo così ti restituirà rispetto.

E ho pensato, invece, a quanto, ieri sera, per quel paio d’ore di trasmissione, sia stata presa in giro, la scrittura, vistasi incarnata nel “personaggio scrittore” come a certi sinistri figuri piace immaginarlo: il tipo strano, che si porta dietro un baule di traumi pregressi o ancora in corso, che sfoga, scrivendo, i demoni interiori del salcazzo.
E che, per mostrare di saper scrivere, è costretto a vergare il temino sulle emozioni, su “cosa ha provato” di ritorno dalla gitarella con la classe a vedere i campi profughi. Oppure sparare cazzate in ascensore, per un intero minuto in apnea, a una che avrebbe preferito stare altrove, magari bersi un drink con l’oliva verde e rileggersi un libriccino di Kafka, che lui sì era figo.

E ho guardato alla mia fottuta vita normale: che poi è colpa sua, della mia vita, se non vengo mai preso sul serio. A quanto pare.

Sono alto 182 cm. Sono robusto e ora anche in piena forma. Sono pieno di muscoli. Non direste mai, guardandomi, che sono uno col tormento interiore, emotivo, che si appiattisce il culo alla tastiera, componendo una frase dopo l’altra per narrare storie.
Ho piuttosto l’aria dello spaccaculi. E anche un po’ l’indole, lo ammetto. Perchè la vita non mi piega, sono io che piego lei, almeno finché ho la forza e riesco a ribattere colpo su colpo alle mazzate che mi tira.

***

dontneed

Non ho mai avuto traumi. O, se ne ho avuti, li ho superati e ne sono uscito vincitore.

Ho quasi 37 anni e tutti i capelli in testa. Ho persino una vita sessuale che esula dal solitario cinque contro uno, pur non troppo intensa.

Ho un appetito enorme. L’ho sempre avuto.

Ho fede.

Ho letto tantissimo, e non perché volessi riscatto dalla mia infima condizione di uomo comune, ma perché mi piaceva farlo. Mi piace ancora. COme ho detto sempre, nessuno scrittore si porta dietro motivazioni superiori, o la sacra missione di educare il mondo. Quelle sono tutte stronzate.

Mi guardo e vedo un uomo normale che, in quanto tale, da certa gente è visto come assolutamente incapace di scrivere roba neanche lontanamente interessante.
La mia colpa? Quella di essere tale. Normale.

E dico colpa con ironia. Ché non me ne frega un cazzo di essere speciale per gente così.

Il talento, la scrittura, se ciò che si è prodotto sia valido o no, niente sembra importare per certa gente. Conta solo essere un fenomeno.
Da baraccone.
E in quanto tale vendibile. In centomila copie. Anche di più.
Immagine, quella del fenomeno da baraccone, che però stride con l’immagine di loro stessi, che paiono normali. Esattamente come me.

È l’antica logica del freak show. Quando l’uomo aragosta e la donna barbuta mettevano in mostra le loro stranezze e ne ricevevano in cambio sguardi meravigliati e disgustati e quel poco di soldi racimolati dai biglietti, per consentire loro di mettere insieme il pranzo con la cena. Perché, cazzo, dovevano campare.

C’è però una differenza. Oggi non lo si fa nemmeno più per soldi. Ma per la gloria. O tempora o mores.

Sipario.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
  • […] diversi momenti, con la sua “storia del cesso” e poi su quello dedicato proprio alla trasmissione, Paolo su Vite di Carta, in cui dice chiaramente che potevamo farne a meno…e molti […]

  • Applausone!!

    • Grazie. 😀

  • ahahah, domenica ero a Budapest in preda all’emicrania e dando un occhio a twitter avevo la timeline invasa da post taggati #masterpiece… e non capivo. Solo oggi, imbattendomi nella recensione che ne hanno fatto su Vice (con Vice ho un rapporto di amore/odio ma questo è un altro paio di maniche), ho capito che si trattava di quell’oscuro X Factor della scrittura di cui avevo visto la pubblicità la settimana scorsa. Devo dire la verità: avendo ormai una certa familiarità coi meccanismi dei talent (non toglietemi Masterchef 😉 ) non mi stupisce che abbiano puntato sul fattore-caso umano, anche se mi sembra di capire che abbiano premuto su questo pedale ancora di più rispetto alla media. Che da una parte mi affascina perché di fronte allo spot mi ero domandata come si potesse mettere in scena in tv una competizione di scrittura, forse la cosa più infilmabile che ci sia. Quindi, da un punto di vista analitico, c’era un problema di comunicazione da risolvere e puntare sul vissuto dei concorrenti è la soluzione che hanno scelto – era davvero l’unica? E chi lo sa, ho sonno e non sono un autore televisivo.

    D’altro canto, non posso fare a meno di pensare che si sia fatta una scelta simile per via della facile equazione “l’artista deve soffrire”, che è uno stereotipo contro cui combatto da anni una battaglia estenuante 😀 E’ vero che il lavoro creativo può essere terapeutico, quindi posso crederci quando mi dicono “Tizio ha esorcizzato i suoi demoni scrivendo o suonando o dipingendo”, eccetera. Van Gogh, bontà sua, stava malissimo, e guarda cosa ha fatto. Ma a volte mi chiedo cosa avrebbe potuto fare se fosse stato bene. Magari la sua arte sarebbe stata diversa, ma può anche darsi che avrebbe fatto di più e meglio. L’amico Gauguin non era esattamente andato in Polinesia a coltivare il male di vivere, eppure è da lì che sono nate le sue opere più memorabili. Ma basta un po’ di storia dell’arte per mettere l’idea dell’artista tormentato in prospettiva. L’artista preromantico lavorava in un’ottica commerciale e cortigiana, integrata nel sistema. Certo vi erano personalità più tormentate e fuori dagli schemi, eppure non era quella la condizione necessaria e sufficiente per sfornare capolavori assoluti.

    Prendo esempio dalle arti figurative perché è la materia in cui sento di avere più prospettiva storica, ma non penso cambi molto con la letteratura, la musica o che altro. Scusa lo sproloquio ma è una cosa che mi sta a cuore 😀 Anche perché, personalmente, a me i periodi di male di vivere e storie varie segano le gambe, creativamente parlando. Pensa un po’ te!

    • La cosa che ha infastidito parecchi, in realtà, è che la scrittura sia stata messa completamente in secondo piano rispetto alle disavventure degli autori partecipanti.
      A un certo punto è stato palese che chi aveva il dramma migliore sarebbe andato avanti, ripescato persino in extremis, dopo il pentimento dei giudici, perché: “questo tuo dramma interiore è importante”.

      A quel punto, la riflessione spontanea scaturita è stata: sotto a chi tocca, al prossimo freak.

      Capisco la difficoltà di rendere attrattivo un programma sulla scrittura, ma… se ci sono difficoltà insormontabili alla fine non lo fai. Non metti su questa baracconata ridicola.

      A proposito di arti figurative, ricordo però che anni fa, sempre sulla RAI, fecero un programma equivalente, di cui non ricordo il nome. C’erano tre giudici, pittori o scultori famosi, che giudicavano aspiranti colleghi. E questi ultimi erano costretti a disegnare/dipingere degli sgorbi in un tempo risicatissimo…

      Quindi, se la memoria non m’inganna, ci hanno già provato a far passare l’arte in TV. L’unica differenza, mi pare, è che all’epoca contavano ancora i disegni, per quanto brutti, piuttosto che il caso umano dell’artista.

  • Il demone interiore? Forse qualcuno ce l’ha, e qualcun altro è sereno e sicuro, senza un dubbio al mondo, e scrivono tutti e due. Perché no. Certamente nessuno dei due dovrebbe aver bisogno di andare a fare la figura del coglione in televisione. Io la trasmissione non l’ho vista, comunque, so che esiste solo perché tutti ne parlano, ma su queste cose ho dato il mio giudizio in passato. Se mi è concesso lo spammone, questo è il link: http://mondifantastici.blogspot.it/2012/07/lo-scrittore-devessere-un-piacione.html
    Tornerò in argomento.

    • Esatto.
      Uno pensa che, se devono stampare centomila copie, debbano vendere il romanzo. E invece del romanzo niente, solo casi umani, per di più ridicolizzati in stile grande fratello, con prove e giochetti, nel tentativo disperato di dar loro spessore, come il personaggio richiede.

  • Non l’ho visto ma ho letto recensioni e commenti. Da quel che ho capito, è piaciuto solo agli autori (toh, che strano). Lo avessero chiesto a me, gliel’avrei detto subito che sbagliavano in partenza. In rete ho letto pezzi di prosa e poesia frutto dei demoni intestinali di questi fenomeni – non questi qui nello specifico, ma dei loro numerosi consimili – e ti assicuro che preferirei ordinare e gustare un sorbetto alla merda piuttosto che acquistare un libro scritto a quel modo. Non è il flusso di coscienza o la drammatica autobiografia di un personaggio tristone che mi farà allungare la mano in libreria, sarà sempre e comunque l’idea vincente di qualcuno che si è sbattuto come un martello in officina per raccontare una storia e raccontarla bene, soprattutto se non è la sua. Io non compro personaggi, compro libri. Si può sapere perché dovrei essere interessato ai traumi pregressi di qualcuno che non scrive neanche bene? Posso concedergli un istante di umana compassione, ma non il prezzo del libro. Quello lo prendo se mi piace il contenuto, altrimenti ciao. Un libro brutto resta un libro brutto, chiunque lo scriva.

    • Sì, è folle.
      Tu dici che non compreresti un libro di uno che ha scritto una storia che non è la sua, costoro invece considerano libri solo quelli “sinceri”, ovvero che trattano della pazzia dell’autore, o di qualche altra sua stranezza.
      Poi capisci perché entri in libreria e ti viene voglia di usare un fiammifero.

  • Avevi già anticipato il discorso con la storia del cesso. Noi la storia del cesso non la vogliamo raccontare, sempre che ne abbiamo una. Vogliamo raccontare la storia del libro.
    Lì, invece, vogliono vendere lo scrittore, non il prodotto. Una tristissima legge di marketing, che esiste e viene insegnata.

    • E rimane inviolata.
      Solo chi ha traumi può scrivere. Che stronzata.

  • certo che se avessi un demone interiore da esorcizzare….

    • Se lo avessi io o tu? Ah, le magie del congiuntivo! 😀

      • ahahahahhahahaha XD

      • io! ho sempre desiderato un demone tutto mio, tu sei brutto e cattivo e non te lo meriti

  • Ne sto sentendo parlare ora di sto programma, ci darò un occhio a questo punto .. Comunque sia bella riflessione, e sappi che sono morto dal ridere quando hai parlato della rilettura, in cui sembra che ad aver scritto sia stato un “te rincoglionito” xD Mi ci rispecchio perchè mi capita sempre e o miglioro col tempo, o sono costantementerincoglionito ma a fasi diverse tra loro.

    • Sì, toni da commedia a parte, la presa di coscienza di scoprire di aver scritto cagate è sempre brutta. Certo, meglio scoprirlo da soli che sentirselo dire dagli altri e notarlo solo dopo. 😉
      Grazie mille.

  • sei forte Hell! e quella tua frase, “Il talento, la scrittura, se ciò che si è prodotto sia valido o no, niente sembra importare per certa gente. Conta solo essere un fenomeno da baraccone” è esattamente lo specchio della società che abbiamo di fronte, dove non conta chi sei ma di chi sei (figlio). Forti le tue riflessioni, come sempre!

    • Grazie. 😉
      Conta di chi sei figlio o se sei abbastanza strano e fuori di testa per far ridere la gente. Essere spendibile, insomma. Altrimenti niente.
      Vabbé, questo articolo era dovuto. Da domani si torna a parlare di cose belle. ^^