L'Attico

Stay Emotive

Detesto l’idea di ridurre un’opera della creatività umana a uno schema. D’altronde è anche stupido negare che ci siano, gli schemi. Questo perché, se un autore sa quello che sta facendo, l’opera compiuta è il risultato di tale controllo, nelle minime sfumature.
D’altronde, c’è la controparte di ogni creazione, il destinatario del messaggio, lo spettatore. Nel caso di un testo scritto, il lettore.
E il lettore assorbe il contenuto del messaggio e lo fa proprio, filtrandolo attraverso i propri schemi, recependolo nella sua interezza, se evidente, o interpretandolo.
I dolori, per l’autore, vanno a braccetto con l’interpretazione del lettore. Spesso, i significati estrapolati dal lettore/spettatore esulano completamente dalle intenzioni dell’autore. Non è una novità.
Ne consegue che, alcune volte, critiche feroci vengono mosse sulla base di elementi inesistenti. Non vuol dire che siano sbagliate o inutili, fanno dibattito, ma non c’è universalità. E chiunque vi dica il contrario, ha letto i libri sbagliati. Sì, esistono anche i libri sbagliati.
La colpa di questo articolo è da attribuire a Lucy e Marina che, neanche spesso, ma sempre, quando parlano di ciò che leggono, accusano il manifestarsi di lacrimoni, che nel gergo vuol dire che si son commosse per questa o altre sfumature. La discussione s’è svolta su twitter.
Io sono una specie di caterpillar, non credo, a memoria, di aver mai pianto per qualcosa che ho visto/ho letto. Solo la vita, da quel punto di vista, è riuscita a piegarmi. Non ad abbattermi, ma a piegarmi.

***

Mi viene detto, altresì, che la commozione di fronte ad alcune scene è prettamente soggettiva. E posso pure crederci. Però, è indubbio che ci siano scene che toccano più di altre.
Ecco, Drive, mi dicono che faccia piangere. E io vi dico che tutto ho visto in Drive, tranne che una fonte di commozione. Forse perché tendo a viverlo dalla parte del Ragazzo e capisco ciò che lo muove. O m’illudo di capirlo.
Credo che, nell’agire del Ragazzo, non ci sia un sentimento divorante, che lo porta a rischiare tutto. Non funziona così, dal punto di vista maschile. C’è, invece, la volontà netta e assoluta di difendere un amore nascituro, potenziale, che mai vedrà la luce.
Perché? Perché a un certo punto la vita viene da ciascuno di noi con l’idea di fare il rendiconto. E si fanno delle scelte. La scelta di afferrare un martello e fare quello che fa il Ragazzo di Drive, senza, e ribadisco senza, versare una lacrima.
Quindi, io Drive lo vedo dal punto di vista dell’epica, dell’eroismo in forma pura, che non vuole una ricompensa. Ad altri fa piangere. Ed è un tipo di reazione che non capisco.
Quello che mi chiedo, dunque, è:

a) si può studiare a tavolino una scena che susciti commozione?

e

b) tale scena, contenuta in un libro o un film, è considerata un valore aggiunto rispetto a un’opera in cui manca?

Ovvero, per farla breve, le opere che fanno commuovere sono migliori?

***

A parte Devilman, di cui ho parlato ieri, la morte di Miki che, ancora adesso, è capace di scuotermi, una delle ultime scene che ho trovato coinvolgenti dal punto di vista emotivo l’ha scritta la mia amica e sparring partner Marina, nel suo Epidemic Egonomic. Difficile restare indifferenti a un’unica scena, per quel che mi riguarda: il bacio del Chimico da sopra la maschera anti-gas e la domanda che la protagonista gli pone, nel sogno, tutte le notti. Gli chiede quale sia il suo nome. Lui non risponde mai.
Ecco. Questa è una scena. Ed è stata la prima, a farmi effetto, dopo anni. È stata anche l’ultima.
Quello che mi chiedo è se sia stata scritta con l’intenzione, o meno, di colpire come un maglio. Forse avrò la risposta, forse no.

***

Veniamo a due scene scritta da me, invece. La scena della telefonata e quella degli anelli, in GfH. Moltissime persone mi hanno detto che sì, quelle scene fanno venire i lacrimoni.
E, riguardo la prima, io posso pure essere d’accordo. Le lacrime di commozione ci sono anche nel testo, esplicite. Direi, quindi, che trattasi di scena riuscita. Scritta e percepita (dal lettore) correttamente.
Per quanto concerne la seconda, lì sorgono i dubbi: la scena degli anelli rappresenta, per chi non ha mai letto il mio eBook, la sconfitta del protagonista. Lui si arrende alla realtà di essere un uomo mediocre che vive d’illusioni e che non diventerà mai oggetto di amore per la donna che lui ama. È con senso di frustrazione, che io ho scritto quella scena, che poi va a fare da contraltare all’altra scena, che nega quel ricordo. La realtà, complici gli eventi nel frattempo trascorsi, distrugge l’impossibilità passata, per rivelarci un presente diverso, complesso e opposto a quello previsto.
Da questo punto di vista l’ho concepita e realizzata. Eppure, commuove.

***

E allora, un abbraccio tra due amanti, prima della fine. Un gesto di tenerezza. Una morte disperata, ineluttabile o imprevista. Direi che, queste cose, se scritte bene, possono commuovere.
Il resto dipende dalla soggettività. Quando e perché accade è un mistero personale.
I miei film e libri preferiti non contengono, per quanto possa ricordare, scene in tal senso. Ciò che adoro di più, infatti, sono i temi che sfiorano l’esistenzialismo e l’assoluto. 2001: Odissea nello Spazio, per intenderci, analizza misteri tali da soprassedere a qualunque sentimentalismo. Di fronte al mistero della vita stessa e della morte, il pianto è superato. L’esistenza è alla sbarra, incomprensibile e sublime. Inutile frignare.
E poi, vado matto per il pulp, per la commedia intelligente, anche ricca di humour nero, per il noir e l’hard boiled, senza ironia in eccesso.
Insomma, tutti ambienti, più che generi, che con il sentimento hanno poco a che vedere.
Il drammatico è il più difficile, per resa e messinscena, ed anche lì preferisco sentimenti forti come la vendetta, più che il dolore.
Ragione per cui, per quel che mi riguarda, la commozione non è un valore aggiunto, che mi porta a preferire un libro a un altro di pari livello, ma privo di tale coinvolgimento.
E un capolavoro può essere tale anche se non fa piangere. Ma a questo riguardo, mi piacerebbe tanto sentire la vostra.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
  • […] che mi ha straziato il cuore. Hell qualche tempo fa aveva scritto un bel post, una riflessione sul valore e l’importanza, reali o meno, del commuoversi. Ecco, la seconda parte […]

  • Beh, arrivo tardi anche se avevo già letto ieri.

    Concordo con chi dice che il cinema è il mezzo privilegiato per emozionarsi. Io sono arrivato ad avere le lacrime di commozione con alcuni film, tra cui il mio preferito e uno di cui ho parlato recentemente sul blog. Il senso è come sempre il dramma percepito. Il coinvolgimento, condizione necessaria e sufficiente per la commozione. In secondo luogo si deve essere in qualche modo predisposti. In questo entrano fattori come il fatto di avere un determinato umore quel giorno e averne altri in giornate diverse, e cose del genere, che sono variabili aleatorie (ma perché diamine starò parlando come se stessi ripetendo esami di ingegneria, mah…). Da questo punto di vista però è da notare che io ho avuto i lacrimoni tutte le volte che ho visto il mio film preferito, in punti diversi e con intensità diverse. Altri film, altrettanto drammatici se non di più, non mi hanno preso fino a quel punto.
    Con i libri invece è complicato. Ho solo un caso di lacrime durante una lettura, ed è stato alla fine della saga della Torre Nera di King. Lì credo abbia influito non tanto il dramma, perché non era una scena “triste”, ma il fatto di aver vissuto per sette romanzi con quel personaggio in attesa di quella determinata scena. E ti dirò, buttando al cesso tutto il resto della mia credibilità ai tuoi occhi, che ogni volta che rileggo quelle due paginette sputate, senza rileggere tutto il resto, solo quelle due, ogni volta i lacrimoni. Il che è stranissimo, perché boh, non lo so spiegare nemmeno io.

    In quanto alla questione un film/libro che dà i lacrimoni è migliore o meno: non credo, anzi no. Il fatto che il mio film preferito mi faccia quegli effetti è secondario. Altri film che mi hanno fatto lacrimare non sono nemmeno nella mia top dei preferiti. È tutto relativo, come sempre. Se una storia è fatta bene, è fatta bene lacrimoni o meno.

    Ciao,
    Gianluca

    • Bene, allora la totalità di voi è concorde, da questo punto di vista. E mi fa molto piacere.
      E non è questione di gettare all’aria la credibilità, è questione di rivelarsi umani e di sapersi ancora emozionare con le storie che si vedono/leggono.
      Cosa che a certa gente non succede più.
      😉

      • Sì sì, ma quello è ok. Anzi, è bellissimo.
        È che su quelle due paginette non riesco proprio a spiegarlo. Posso capire quando si riguarda un film o si rilegge per intero un libro o addirittura la saga stessa. Ma lì succede con le due pagine e basta. Forse perché ho “memoria” di quel che sentivo la prima volta che le avevo lette, chissà. 🙂

        Poi, sì, ovviamente la cosa della credibilità era ironica. 😉

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  • Allora. Faccio una premessa. Io piango. Per un nonnulla. E per qualsiasi cosa. “Lagnoso” è stato il mio soprannome fino a che non ho steso mio cugino – il proprietario del copyright – con un paio di pugni, un’estate, nello spazio tra due file di cabine, al mare.
    Piango per la musica, piango per scene televisive e filmiche, piango a teatro e piango per i libri. Due minuti fa anche, leggendo il trono di spade, nella scena in cui Robb stringe la mano a Bran dicendogli che tutta la loro famiglia tornerà a Grande Inverno e che poi loro due andranno a trovare Jon alla Barriera. Ho sentito quella stretta sulla mia mano… vabbè, lasciamo perdere. Diciamo che non sono un lettore/spettatore emotivamente affidabile.
    Empatizzo con qualsiasi cosa, anche la peggio ca**** (no, i cinepanettoni no, e tuailait no, questo me lo riconosco ^^) e soprattutto empatizzo troppo con i personaggi dei miei racconti. Ma questo è un altro problema ^^

    Ah, Davide, va che anche io piango quando leggo saggi… giusto quello di Eldredge che ti ho citato qualche giorno fa (per fare un esempio).

    • Se posso, poi, aggiungo una cosa. Empatizzare è una cosa, esteriorizzare l’empatia un’altra. Non è che perché si piange si è per forza più sensibili di chi non lo fa. ^^

      • Ok, grazie per la risposta. 😉
        😀

      • No, non è la commozione il fattore principale con cui giudico una qualsiasi cosa, anche perché – visto come sono – rischierei di dire che tutto è bello. Proprio perché sono troppo emotivo, non ci baso il mio giudizio. Cerco di capire se “me lo ricordo”, ovvero se di quello che ho letto/visto mi è rimasta traccia nella memoria, e che sensazione mi da il ricordare. Se sono sensazioni positive, allora ok, mi è piaciuto. E’ banale, ma per tante cose funziono ancora come un bimbo piccolo 😉

      • Mai pensato. Per quanto mi riguarda però non riesco a “empatizzare” coi personaggi di carta o filmici. 😀
        Sarà perché la sospensione d’incredulità non è la vita, in fondo.

        Però, la mia domanda resta: tu giudichi un’opera che commuove superiore a una che, magari, fa solo avventura?

        😉

  • L’emozione si può simulare, si può indurre.
    Conosciamo registi che manipolano ad arte il pubblico, ed è come se li sentissimo, su certe scene, che bisbigliano al montatore “Adesso qui li faccio piangere!”
    Nella scrittura immagino esistano meccanismi affini, ma forse il contributo del lettore qui è più forte – più che indurre certe reazioni, quando scrivo devo andare a risvegliare qualcosa nel lettore, andare a toccare qualcosa che è già là.

    Io sono molto possibilista, ma non cerco nello specifico la scena commovente, l’esplosione emotiva.
    Se capita, mi piace che mi dia l’impressione di essere il più naturale possibile.
    Libri che mi abbiano commosso?
    Il classico dei classici è Fiori per Algernon – che ha nella sua intera struttura una bomba ad orologeria emotiva (il film corrispondente è, ovviamente, I Due Mondi di Charlie).
    E mi sono trovato commosso fino alle lacrime leggendo Billions & Billions di Carl Sagan, nel quale lo scienziato americano, che ormai stava morendo di cancro e lo sapeva, riflette sul significato dell’esistenza e della morte in un universo materialista.
    Mi commuovo con la saggistica. Strano, eh?

    • Ecco, sì, la riflessione di un uomo giunto alla fine smuove anche i più insensibili, me compreso. Fa sempre effetto perché si vedono le cose sotto un’altra luce, una che nessuno vorrebbe mai conoscere anzitempo.

      Quello che dici riguardo i film che inducono meccanicamente le emozioni è verissimo. È anche vero che, però, raramente colpiscono, ci provano ma risultano fittizi, o almeno è così che la vedo io.

      Per il resto sono concorde, neppure io ricerco espressamente l’esplosione emotiva, mi sembra in caso contrario una forzatura.
      Se c’è e fa bene al racconto, allora ben venga.
      😉

  • Sarò lunga, sorry! ^_^’
    In questi due giorni sto versando fiumi di lacrimoni e, per rispondere subito alla domanda b), credo che, in sé, la commozione non sia un elemento di pregio: è un fatto troppo soggettivo, basta che qualcosa entri in risonanza con te nel modo “sbagliato”, anche qualcosa di marginale, e l’effetto è del tutto diverso da quello che chi ha scritto/diretto/disegnato la storia si era proposto. Di conseguenza, potrei rileggere un romanzo che la prima volta mi ha commosso molto, e uscirne senza fare una grinza perché quella risonanza non è avvenuta. Poi, certo, se il libro/film/fumetto vuole collocarsi in un filone in cui commuovere è d’obbligo e non ci riesce, è tutt’altra storia.
    Anche io Drive lo vedo dal punto di vista del Ragazzo, però mi commuovo per una sensazione di… ingiustizia e inutilità. Per la consapevolezza che tutto andrà in frantumi, che “la cosa più bella che mi sia capitata” non saprà capire (non subito), per l’ineluttabilità della solitudine.
    “Quindi, io Drive lo vedo dal punto di vista dell’epica, dell’eroismo in forma pura, che non vuole una ricompensa. Ad altri fa piangere. Ed è un tipo di reazione che non capisco.” Ecco, proprio questo mi commuove. Perché al di là di tutto l’eroismo indubbio, despite what drives him, il Ragazzo è un perdente.
    Per quanto riguarda la scena degli anelli, è una commozione diversa, senza lacrimoni ma pregna di tenerezza. O forse sono io che mi commuovo molto per i “perdenti” della vita e le fragilità umane, e in quel momento di Hell si vede un lato molto fragile.
    Quanto al Chimico, non ho scritto quella scena col preciso scopo di colpire i sentimenti altrui. L’ho scritta di getto, credo: era un momento che funzionava e in linea con il personaggio che avevo in testa. ^_^ E quindi, per rispondere al quesito a): credo che quelli bravi bravi possano riuscire a costruire una scena in modo da indurre alti livelli di commozione, ma non è cosa da tutti e soprattutto non da me. 😛

    • Ecco, però mi conforta l’idea che tutti siate concordi nel non farne una questione di pregio assoluto. Nel senso, Pulp Fiction (non so se a te piace, ma a me moltissimo) è altrettanto valido rispetto a Drive, pur essendo generi opposti.
      Mmmhh, dopo tanto tempo direi che adesso ho finalmente capito tante cose, rispetto a ciò che scrivi o pensi.
      E pure io sono d’accordo, in fin dei conti. L’idea è scrivere un scena non tanto per suscitare una reazione, quanto perché fa bene al racconto.
      Se fa bene anche ai lettori, quello è il valore aggiunto. Forse.

      😉

      • Be’, naturalmente quando dico che ti ho capito intendo che ti ho interpretato, e quindi mi ricollego alla parte iniziale dell’articolo. Potrei anche aver visto cose inesistenti. 😀
        Ottimo, allora. Finalmente posso dire che, almeno per alcuni, per voi, il fatto di non indulgere in scene strappalacrime non è un difetto, per quanto concerne le mie creazioni. È confortante.
        ^_^

      • Pulp Fiction mi è piaciuto molto, prima o poi lo rivedrò anche in inglese, e sì, generi e atteggiamento opposti, eppure anche lui mooooolto valido!
        Sì, lo spirito alla fine credo debba sempre essere quello: scrivere quello che serve a far crescere storia e personaggi, il resto, se i personaggi e il racconto sono costruiti bene, verrà da sé 🙂
        Certo, ci sono anche i trucchetti “facili”, della serie “si incontrano, si piacciono, si giurano amore eterno ma lui scopre di avere un male incurabile e alla fine schiatta e lei vivrà nel ricordo blablabla”, che se sai gestirli un minimo la lacrima femminile è quasi automatica. Ma è un altro campo, e per tipo di storia e per tipo di approccio allo scrivere.

        Qualunque cosa tu abbia capito su come scrivo o penso, mi fido! U_U

  • Io sono una frignona. Piango in continuazione, di fronte a film, libri, fumetti, etc.
    Ma non solo quelli strutturati per essere commoventi. Anche per quello di cui parli tu, ovvero i temi esistenziali.
    Mi commuove la bellezza in generale. Mi commuove l’assoluto.
    Per me si tratta di una reazione naturale. Non so bene da cosa derivi. E non prediligo un’opera rispetto a un’altra per il grado di commozione che mi suscita. Anche perché io mi metto a piangere, sempre, per esempio, alla scena dell’arrivo dei nostri a Jurassic Park. Ecco. Quindi per quanto mi riguarda la commozione diventa l’espressione di un’emozione forte, di qualsiasi tipo, derivata dalla bellezza di una scena, che sia scritta, disegnata o filmata, poco importa.
    LO so, è strambo, però io le cose le vivo così.

    • No, non è strambo. È bello. E da un certo punto di vista ti invidio perché provare tutto ciò dev’essere fantastico. Non so se mi piacerebbe provare le stesse cose, magari per un po’.
      Diciamo che sto bene anche così come sono. 😉

      • 😉

      • no, ma tu vai benissimo come sei <3
        è questo il bello: ognuno reagisce a suo modo

  • E’ raro che mi commuova fino alle lacrime mentre leggo. Diciamo che ho provato emozioni estreme, durante la lettura, solo una volta, con Parole di Giobbe (Giobbe Covatta), che mi scatenò uno stato di ilarità irrefrenabile al punto da non aver più fiato per respirare.
    Col cinema, invece, qualche lacrimuccia mi è scappata… forse, come dice anche Alex, per via dell’immediatezza delle immagini, e della colonna sonora.

    A ogni modo, è impossibile creare una pagina che possa suscitare commozione in “tutti” i lettori. Le emozioni sono molto personali, così come la sensibilità è differente da persona a persona. Però, se un autore è in grado di toccare certe corde in un bel numero di lettori (anche se non sono tutti), questo significa che ha delle qualità… qualità che non posso ignorare… ma che ovviamente non devono diventare dominanti sul giudizio del libro/film. Insomma… anche un film che non fa piangere può essere un buon film. Gli elementi di cui tenere conto sono tanti, e credo che il giudizio vada dato sul prodotto completo, non solo su alcune delle sue componenti! ^_^

    • Quindi siamo sulla stessa lunghezza d’onda, mi pare. Infatti trovo che ignorare tutti gli aspetti di pregio di un’opera in luogo della capacità della stessa di emozionare o meno sminuisca il valore della stessa. 😉

  • Valore aggiunto, no, però se l’opera ti commuove, è evidente che la sospensione dell’incredulità è riuscita bene.
    ora che ci penso, le emozioni che mi getta addosso un buon libro mi restano appiccicate per più tempo rispetto a quelle di un film. “vergogna” di Coetzee mi ha fatto stare malissimo per una settimana, ma quello è un caso limite.
    Da autrice, mi è capitato di piagnucolare scrivendo un paio di scene. Non era premeditato, è semplicemente successo di immedesimarmi nello stato d’animo del personaggio. Poi, quando qualche lettore mi ha detto di aver letto quella stessa scena col groppo in gola e gli occhi lucidi, ho pensato che questa è la vera magia.

    • Eh, io invece sono abbastanza freddo a riguardo. E la sospensione dell’incredulità, per come la vedo io, non vuol dire immedesimazione fino a quel punto, quanto plausibilità.
      Ovviamente fa piacere sentirsi dire che una scena colpisce. Però io ho bisogno di capire il perché. 😀

  • assolutamente, le letture dei tuoi racconti mi hanno sempre emozionato e l’emozione tende sempre a trasmettere un po’ di commozione. Dal mio punto di vista è naturale. Tornando ancora al cacciatora tu parli di disperazione assoluta, se non avessimo parlato di queste cose e tu di persona mi avresti detto “ho visto il cacciatore e mi lasciato addosso un sentimento di disperazione assoluta, be’ io ascoltando e magari guardandoti in faccia mi sarei commosso.
    Cio che magari tu riesci a descrivere con freddezza ammazza il cuore di un altro

    basta chiudo 😀

    • ahahah XD Be’, è un punto di vista interessante, in effetti.
      Ma io ammetto di essere di una freddezza inconsueta. Ma è la vita che mi ha fatto così, non me ne rendo conto.
      È quello che intendo quando dico che non capisco come ci si possa commuovere per Drive. Eppure succede. ^^

  • Per quando riguarda i film, l’ultimo che mi abbia commosso è stato il cacciatore di Cimino. Libri, in fondo alla plaude di Lansdale. Nel primo caso a suscitare la commozione era la forza d’animo che aveva de Niro nel film, nel romanzo le pagine finale che descrivevano la morte della protagonista ormai cresciuta e vittima di scelte di vita sbagliate quando per tutto il resto del romanzo era stata una bambina positiva e deliziosa. Non so ora se sto parlando di capolavori.
    Io a volte mi commuovo a scrivere cose che ho vissuto e fanno ridere i polli, mentre in altre situazioni succede l’esatto contrario. Va a capirlo come funziona.

    è un bel vespaio quello che hai tirato fuori, Helle 🙂

    • Eh, perché la risposta a queste domande mi danna, in effetti.
      Mi piacerebbe da autore conoscere il segreto per far emozionare i lettori a comando. Ma poi ne andrebbe della spontaneità e della creatività, immagino.
      Ecco, il Cacciatore mi comunica disperazione assoluta, più che commozione.

      😉

      • Ma infatti mica sto giudicando il perché ti commuove. 😉
        Secondo quello che dici, siccome non mi commuovo mai non dovrei riuscire mai a commuovere. Mumble mumble.
        Vedi, è proprio di fronte a questa soggettivita che ogni teoria legata all’arte va in briciole. 😉

      • Ma secondo me è qualcosa di istintivo e poi una volta ne abbiamo parlato se non ricordo male: scrivere con sincerità. Se descrivi con sincerità un qualcosa che ti ha commosso automaticamente commuovi

        è vero ciò che dici riguardo al cacciatora ma a ma la disperazione nelle persone commuove. è più forte di me

  • Non voglio disgustare nessuno, ma io non piango mai leggendo libri, racconti o fumetti.
    Mi è più facile – infinitamente più facile – con un film o perfino con un cartone animato. L’immediatezza delle immagini, complice magari una buona colonna sonora, sanno toccare il lato sensibile del mio animo. Che pure esiste, eccome.
    Come ho confessato pochi giorni fa io ho pianto perfino per Grey’s Anatomy
    Ma con la parola scritta posso emozionarmi, e tanto, ma piangere mai.
    Le eccezioni, quelle sì, valgono la pena di essere citate:

    – La fine del ciclo di Endimyon, di Dan Simmons. Lacrime vere. Non per una singola scena, bensì per il separarsi da personaggi che mi erano diventati familiari come pochi altri.
    Il miglio verde , prima lettura. Commuovente, non ho resistito.
    Il lungo addio , ossia l’album di Dylan Dog più bello, toccante, commuovente che ho mai letto. Forse il miglior fumetto italiano.

    Citazione di merito, lacrime a parte, per L’ora più buia , del nostro amico Claudio Vergnani. Un romanzo horror – sì, horror! – che ha saputo descrivere delle emozioni umane in modo inarrivabile: depressione, inutilità, senso di sconfitta e sconforto, senso della perdita.
    Una lettura angosciante ma bellissima.

    Ottimo post.

    • Oh, allora io sono anche più insensibile di te. Perché non mi è mai successo. Quando dico che una scena mi tocca è perché mi emoziona, non perché mi faccia davvero scendere i lacrimoni. Nemmeno coi film, per capirci.

      Eppure è bello, quando succede, forse anche perché è raro.
      Grazie per il tuo intervento e per gli esempi che hai portato. 😉