L'Attico

L’oblio della Puglia

Se avete ricominciato a bazzicare regolarmente da queste parti saprete che per me questi ultimi mesi sono stati un po’ travagliati.
Non sto a ripetervi i motivi. Sono scritti qui, da qualche parte, se vi va di andare a cercarli.

Conseguenza di questo travaglio, ho ripensato e ripenso spesso alla mia terra natale: la Puglia.
E ogni volta che ci penso, vi associo per istinto una musica particolare: Oblio dei Goblin.
Non solo. Andando a ricordare cosa Oblio accompagna sullo schermo, scopro che le sequenze di pulizia del centro commerciale, ad opera di Peter e Stephen, che caricano i corpi degli zombi su carrelli e li depositano nelle celle frigorifere per non appestare l’aria, si sposano bene con l’immagine e il ricordo generale.

Naoto Hattori – ovviamente la Puglia non c’entra, ma trovo che si sposi bene col concetto



Questo non vuole essere un post denigratorio sulla mia terra, da “traditore” o “infame”, anche perché ne ho piene le palle delle tifoserie, di chi non vuol sforzarsi di capire e butta ogni cosa in caciara. Non mi riguarda. La Puglia è la mia terra anche dopo averla lasciata da sette anni. Lo sarà sempre.
Mi ha formato. E se è vero che ogni cosa, ogni luogo ci forma, a rigor di logica allora dovrei essere stato formato da questa terra di confine, tra le montagne. Ma i picchi e le storie di streghe delle Dolomiti ben poca forza hanno su di me. E credo che la colpa sia del sortilegio di quella danzatrice ossessa*.

Qualche giorno fa, un mio amico ha condiviso un link dell’Huffington, in cui si denuncia la mancanza di inventiva nelle fiction e nei film ambientati al sud.
E non posso che condividere questa visione.
Perché lì, in quei prodotti televisivi, la Puglia è vista con l’occhio dello straniero, di quello che viene a svernarvi, portandosi dietro brutti ricordi e un passato che ineluttabilmente si scioglie al cospetto della Controra.
Ecco perché l’Oblio.
Perché la Puglia e i suoi campi assolati inducono all’accidia, che a sua volta, diabolica e dolce, spinge alla dimenticanza.

E così, la Puglia vista al cinema e in TV è quella terra del sopore, ambientata da gente sovrappeso, barbuta, burbera e sudata, che tira a campare.
Ed è così che è.
I giovani che possono sognano di lasciarla, quelli che non possono si rassegnano a invecchiarvi consolandosi con l’estrema bellezza dei territori.
Quelli che tornano, ci tornano con problemi da lasciarsi indietro, e misurandosi con gli spettri del passato, che stanno lì ad aspettarli. Sempre.
Se te ne vai, da laggiù, ti lasci sempre dietro qualcosa di sgradito, che non muore mai.



Gli stereotipi, ricordiamo, sono sempre veritieri. Si basano su fatti reali, diffusi.
Se questa è la percezione che questa regione ha sempre dato di sé è perché questo ha trasmesso. E così che è stata raccontata.
E il tono del racconto non cambia.
Storie di contadini aggressivi, malaffare, piccoli abusi quotidiani, ingiustizie e, di contro, faticosa giustizia ottenuta dopo anni di scontro.

Sono quelli i colori della Puglia, e non è solo merito del filtro saturato.
La gente in Puglia tira a campare, stordita dal clima, dalla bellezza dei luoghi, da una storia millenaria, dalla rassegnazione e dall’oblio, che quella stessa storia ha divorato.
La Puglia è stata soggetta a innumerevoli dominazioni, che ne sono state divorate senza scampo. All’ombra dei ruderi, della pietra e del tufo imbiancati a calce ogni cosa si disgrega.

Ma ovviamente c’è anche altro, come le storie di streghe e dei diavoli meridiani, in bella vista sotto il sole del meriggio.
Per me un luogo di orrori arcano, a cominciare dal suo simbolo, quella danzatrice coperta di tarantole.
Non c’è solo il solleone, il mare e gli olivi, c’è quella storia, quelle tradizioni, misconosciute ai suoi stessi abitanti, consumati e arresi dietro un orgoglio stolido, che non ammette critiche. I fatti nostri sono affar nostro. Nel bene e nel male. Ma in fondo, siamo tutti bravi e buoni, non è forse così?

In quel sopore ci siamo oggi più che mai.
Eppure non si riesce a sfuggire.
Me la porto dietro tra i sentieri montani, quell’infestazione.
L’immaginazione è e dovrebbe essere il primo passo perché le cose cambino. Per favorire la nascita delle idee. Ma se tutto ciò che della Puglia riusciamo a narrare è la terra e la cucina e i piccoli soprusi quotidiani, non riusciremo a diventare altro che quello.
In più, viviamo in una terra di incantesimi, il cui pregio più grande è insieme il suo più grande sortilegio: il potere dell’Oblio.
Dimenticare, per restare sempre uguali a se stessi, senza cambiare mai.

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* Donna di carnagione adusta, ch’essendo vestita d’un sottil velo, habbia sopra d’esso alcune tarantole, simili a’ ragni grossi rigati di diversi colori, starà detta figura in atto di ballare, havrà in capo una bella ghirlanda di olivo, con il suo frutto et con la destra mano terrà con bella gratia un mazzo di spighe di grano e un ramo di mandole con le foglie e frutto, haverà da una parte una cicogna che habbia un serpe in bocca et da l’altra diversi instromenti da sonare et in particolare un tamburino et un pifaro. […] Dipingesi di carnagione adusta et vestita di sottil velo, per dimostrare il gran calore et siccità che nella Puglia per lo più si trova […]. Le tarantole sopra il vestimento e macchiate di diversi colori vi si rappresentano come animali notissimi e unichi in questa Provincia, come anco per dimostrare (secondo che riferisce il Mattiolo sopra Dioscoride) la diversità del loro veneno, percioché mordendo esse alcuno ne succedono diversi et strani accidenti: alcuni cantano, alcuni ridono, alcuni piangono, chi grida, chi dorme, chi veglia, chi salta, chi trema, chi suda, et chi patisce altri diversi accidenti et fanno pazzie come se fossero spiritati et ciò da altro non procede se non dalle diverse nature sì di questi animali come ancora di quelli che sono da essi morsicati et anco secondo i giorni e l’hore. (Iconografia di Cesare Ripa, XVI secolo)

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