L'Attico

Lo stereotipo rassicurante

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Che siate narratori, scrittori, blogger, registi, spettatori o lettori, lo stereotipo prima o poi intralcia il vostro cammino.
Ci pensavo già da un po’, allo stereotipo. Poi negli ultimi giorni mi è capitato di leggere un paio di recensioni su Orfani della Bonelli, accusato per la maggior parte di tracimare luoghi comuni da ogni tavola, e poi di ascoltare qualche passo, sul tubo, di nuovi libri/ebook letti da voci famose. E anch’essi contenevano elementi triti e ritriti.
E mi sono chiesto perché.

Perché presentare come nuovo ciò che è nato vecchio.

Ed è un argomento, e una risposta, che può far nascere discussioni interessanti.
Per un attimo voglio mettermi nella testa delle grandi produzioni, di chi investe cento milioni di dollari in un progetto e, al di là del divertimento insito in esso, pretende un ritorno economico perché, in caso contrario, cambierà mestiere.

Mi vengono in mente un paio di titoli famosissimi:

 

Jake's avatar and Neytiri. One of the inspirat...
Jake’s avatar and Neytiri. (Photo credit: Wikipedia)

Avatar, di James Cameron
Pacific Rim, di Guglielmo del Toro (li trovate entrambi recensiti all’indice dei film, qui sul blog)

Che io, tutto sommato, ho giudicato positivamente, per la perizia tecnica il primo, oltre che per la pianificazione commerciale perfetta nei minimi dettagli che ha consentito a James Cameron di riproporre per l’ennesima volta la storia di Balla coi Lupi (oltre che scopiazzare di qua e di là, soprattutto da autori russi e cinesi, la componente aliena del nuovo pianeta) e di ottenere un successo planetario; per il divertimento datomi dal secondo, i robottoni, le mazzate, i mostri, il non-bacio finale: una gita nei miei dieci anni.

SDCC '13: Legendary Pictures/Pacific Rim
Legendary Pictures/Pacific Rim (Photo credit: shine_blitz_on)

Eppure, io sono uno di quelli che ODIA gli stereotipi e li ammazzerebbe tutti.
Ho odiato, ad esempio, i russi alti e biondi e falsissimi di Pacific Rim, i cinesi tutti uguali, il solito surrogato di marine che fa il discorsetto pre-apocalisse e tutti quanti “Alèèèèèèèèèè! Rischiamo la vita!”, il pilota dell’altro Jaeger immaturo e che fa il galletto, mentre il protagonista ha i traumi pregressi ed è buono e riflessivo, nonché l’Holly di Holly e Benji degli Jaeger, e ne potrei aggiungere milioni, e magari ancora uno: le maledette scarpette rosse…

Ho odiato la storia degli umani cattivi e degli alieni buoni di Avatar, del marine che tradisce la patria di sciocchi e avidi umani. Ho odiato che gli umani fossero avidi e sciocchi nel tremilaventordici. Si suppone che nel futuro un minimo di consapevolezza e maturità la nostra specie l’abbia raggiunto, altrimenti che cazzo esistiamo a fare? Per tacere dell’uccello gigante cavalcato da Jake (mi pare si chiamasse così, il protagonista), dinnanzi al quale i puffi blu si prostrano, ché loro sono primitivi, ma buoni. I buoni selvaggi, etc…

C’è però un fatto: che Avatar mi prometteva CGI, 3D e effetti speciali mai visti prima. Nient’altro.
Pacific Rim mi prometteva invece robot giganti e mostri marini. E scontri mai visti prima. Nient’altro.

Ed entrambi mi hanno dato le due cose che cercavo, in misura tale da coprire l’urlo di munch degli stereotipi, che gridavano vendetta.
Ma capisco anche chi si aspettasse altro, oltre quello. Magari anche una storia e dei personaggi, che male non fanno.
E ammetto anche che, se si fossero impegnati di più a darci novità e meno stereotipi, staremmo qui a discutere di due capolavori. Che non sono. E non lo saranno mai, proprio a causa di quegli stessi stereotipi.

Sembra che sia impossibile coniugare le centinaia di milioni di dollari investiti in certe produzioni e ottenere, parallelamente alle mazzate e alla CGI, anche la qualità dell’impianto narrativo.

E il problema sta da entrambi le parti:

Audience
(Photo credit: Brett Sayer)

a) da chi i soldi ce li mette, e pretende un ritorno economico, per arricchirsi (più che giusto) e per continuare a fare lo stesso mestiere

b) dal pubblico, che non è affatto vero che vuole storie nuove. Pretende anzi di camminare sempre nei binari rassicuranti del già visto, magari mascherato un po’, esige le storie prevedibili, che s’intuisca un’ora prima come vanno a finire e che devono andare a finire così, pena i fischi a fine programmazione.

La compagnia di produzione sa che il pubblico, nonostante ci piaccia pensare il contrario, è composto per la maggior parte da occasionali: ovvero persone che nella vita s’interessano d’altro e che vanno al cinema per svago, spesso ignorando i nomi coinvolti nel film che hanno deciso di vedere facendo testa o croce. A costoro piacciono personaggi immediatamente riconoscibili e eventi comprensibili.
Tant’è che, quando si evade dai cliché, il film viene subito relegato, dalle stesse compagnie di distribuzione, nel ghetto delle “sperimentazioni”.
In pratica, già si sa se un film incasserà cinquecento milioni di dollari o cinque. E lo si sa anche dai motivi che esso contiene.

Il pubblico, da parte sua, si trova spiazzato da qualunque scelta narrativa che non corrisponda ai suoi schemi mentali, o agli schemi mentali letti chissà dove. Da qualche manuale acquistato in edicola, magari.
Per cui, storce il naso a prescindere se si ritrova proiettato un film un pochino più “alessandrino” rispetto a ciò che prevedeva di vedere.
E invece applaude a scena aperta di fronte al Thor della Marvel perché non c’è dramma, come gli appassionati volevano, ma le scenette comiche del tizio in mutande, che fanno ridere… (sì, vabbé…)

STEREOTYPES KILL IDEAS
STEREOTYPES KILL IDEAS (Photo credit: Hum.as a.k.a. cHappy!)

Il pubblico non è fatto di appassionati.
Non siamo noi, blogger che ci facciamo il culo piatto a vedere film dalla mattina alla sera, o a leggere i libri o i fumetti, il pubblico.
Il pubblico è fatto da gente che legge un paio di libri alll’anno, che cerca su internet il nome di quell’attore del film che ha visto l’altra sera, per caso, di cui non ricorda nemmeno il titolo, o quel fumetto trovato per caso nel cesso della stazione, o letto nell’intervallo di tempo tra un treno e l’altro.
E chi ci investe i soldi, questo lo deve tenere presente. Perché si tratta, appunto, di un sacco di soldi.
È vietato sbagliare, quando in ballo ci sono centinaia di milioni di dollari.

Però, d’altronde, la storia è evoluzione. E quindi arrivo io, e voi altri, a sbraitare quando il novanta percento dei film in sala sembrano fatti con lo stampino.
Perché ok mettere gli stereotipi. Ma se almeno in ogni film si osasse inserire almeno un paio di novità, forse guadagnereste un paio di milioni in meno, cari produttori, ma noi appassionati divoratori ne ricaveremmo un po’ di salute mentale in più. Non siate avidi.
È profondamente ingiusto, o come tale lo percepiamo, assecondare la pigrizia del grande pubblico che pretende (e s’incazza se non lo ottiene) di sedersi in poltrona rossa e di venire ingozzato, come le anatre con le quali si fa il foie gras, di cinebacchettoni (neanche più cinepanettoni).
Che ne dite, cari produttori? Riusciamo a firmare questo compromesso storico?

Quattro novità ogni dieci stereotipi.

Non chiediamo altro. Non ancora.

Concedeteci almeno questo. Per illuderci che le nostre voci non si perdano nell’oblio della logica di mercato.

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    • 10 anni ago

    Sono d’accordo con Davide, è questione di come lo usi, lo stereotipo.
    Nel caso di Avatar, si è giunti al punto che prima ancora di entrare in sala sapevo già come si sarebbe svolta la trama, con l’unico dubbio di quale sarebbe stato il mezzo tecnico con cui Jake e Neytiri (o come si scrive) sarebbero potuti rimanere insieme per il lieto fine di rigore. Il resto era tutto scritto negli stereotipi, pure le tempistiche di quel che sarebbe avvenuto. Ho giusto sbagliato una previsione, ovvero che il tizio che doveva sposarsi con Neytiri avrebbe tentato di ammazzare o screditare Jake: è l’unico stereotipo del genere che hanno evitato.
    Se usi le “formule” come se fossero l’unico modo di costruire una storia, se le applichi beceramente, se non fai altro che usare stereotipi e token characters, no, non stai scrivendo una storia, stai montando un mobile IKEA.

    • 10 anni ago

    Odio anche io gli stereotipi ma sono ben consapevole che ci sono immerso fino al collo e forse anche di più,,,su Avatar e Pacific Rim mi permetto di fare un’osservazione: se è vero che Avatar prometteva di essere un film oltre tutto quello che avevamo mai visto io ho dovuto amaramente constatare che se è vero che dal punto di vista tecnico era assolutamente straordinario, guardandolo sotto il profilo della scrittura cinematografica era qualcosa di assolutamente deteriore, arretrato, nato vecchio senza volerlo, un miscuglio indegno di cowboyismo da strapazzo e new age…io l’ho stroncato.
    Pacific Rim invece l’ho adorato perchè era chiaro sin da subito che cosa mi avrebbe dato: personaggi unidimensionali e robottoni giganti che facevano a mazzate.Era tutto quello che cercavo.
    Ecco quando un film mi dà quello che cerco per me va bene…e se in quel momento volevo gli stereotipi allora va bene. Avatar invece mi ha spacciato degli stereotipi per qualcosa di nuovo….
    Ritornando al discorso del pubblico ti dò pienamente ragione: noi siamo una piccola schiera , loro sono una grande massa. E chi distribuisce film, chi scrive storie o altro…guarda soprattutto a loro….

      • 10 anni ago

      E non può guardare altro che a loro, purtroppo, finché sono la maggioranza. Perché gli stereotipi sono elementi già testati d sicuro successo: non possono sbagliare.
      Con le novità, invece, non si sa mai.
      Io ho conosciuto persone che sbuffavano se poco poco la tram prendeva una piega che loro non avevano previsto. Insomma, certa gente è piatta come i film che vogliono vedere.
      Siamo una minoranza triste. ^^

    • 10 anni ago

    Ci sono anche “Pacchetti di Stereotipi” che magari danno fastidio usati tutti insieme.
    Che ne so, magari l’ultimo poliziotto onesto che deve liberare il fantasma della moglie intrappolata nella soffitta della torre del Dio Ragno sarebbe una storia interessante, nonostante gli stereotipi 😀
    Ovviamente, sempre partendo dall’assunto di non aver imparato a scrivere leggendo i fogliettini dei baci perugina.

      • 10 anni ago

      Ma si perché gli stereotipi funzionano sempre?
      Perché il pubblico è ignaro che siano stereotipi.
      Perché è ignaro? Perché non esperto della materia: legge poco, guarda pochi film etc…

      Gli stereotipi rompono il cazzo a chi come noi guarda, legge tantissimo: perché impediscono di godersi la storia.
      E poi gridiamo al miracolo quando qualcuno riesce, pur usandoli, a mescolarli in maniera tale da sorprenderci.

      Il problema della percezione sgradevole degli stereotipi è solo nostro. Tipicamente nostro.

    • 10 anni ago

    È un gioco di equilibrismo.
    In generale, lo stereotipo è come la noce moscata – buono, ma zeppo d’arsenico, se eccedi muori.
    La narrativa di genere – in qualunque forma – necessita di stereotipi perché gli stereotipi segnalano il genere…
    . l’ultimo poliziotto onesto
    . il pianeta misterioso
    . la torre del dio-ragno
    . il reduce che ha perso tutto durante la guerra
    . lo spettro in soffitta
    eccetera.
    Il problema è che gli stereotipi da soli non bastano – devono essere diluiti e amalgamati in una storia.
    A volte basta un buon dialogo, a volte basta una ambientazione diversa.
    Ma una buona storia (l’insieme cioé di tutti gli elementi narrativi) sarebbe l’ideale.
    Come fai giustamente osservare, quattro idee nuove ogni dieci stereotipi sarebbe già qualcosa di buono.
    Magari quattro idee nuove riguardo agli stereotipi.
    O ci riduciamo alla fanfiction.
    Che sta alla scrittura come Quattro Salti in Padella sta al cucinare.

      • 10 anni ago

      Esatto, senza gli stereotipi non ci sarebbero i generi letterari, che, come scrissi poco dopo aver aperto il blog, utilizzano gli stereotipi per essere immediatamente riconoscibili.
      E fin qui niente di male.
      Il problema è la sovrabbondanza. La pigrizia che impedisce di cercare soluzioni narrative nuove, persino nuovi dialoghi, o rapporti tra personaggi.
      Ormai siamo ridotti a un complice gico al massacro: il pubblico che non vuole fare il minimo sforzo di ragionare e le produzioni che vogliono accontentarlo a tutti i costi.

    • 10 anni ago

    Se esci dai binari e produci un film (ma anche un libro o fumetto che sia) che non ha quelle componenti solite, che colpiscono l’inconscio del fruitore di turno, perennemente bisognoso di essere rassicurato e lasciato tranquillo nella sua poltrona, la gente va in tilt.
    Ne abbiamo avuto la prova troppe volte, con chiavi di ricerca che chiedono spiegazioni su finali troppo alternativi, o addirittura su l’intera produzione.

    E per dire, Pacific Rim riesce a mandarli in tilt lo stesso, perché anche se ha gli elementi segnalati da te e che riconosco, ha qualcosa di così poco… poco stelle e strisce. O almeno non è sufficiente. E manca la bella di turno che bacia con passione l’androgino di turno.

      • 10 anni ago

      Esatto, Pacific Rim è stato osteggiato perché pur essendo corrispondente a certe idee, non le ha cavalcate fino in fondo, oppure le ha mascherate troppo, e quindi il pubblico s’è sentito sfottuto. E in molti casi ha reagito malissimo.

      Come dice Davide sotto è un gioco di equilibrismo. Io direi di alchimia. 😀

    • 10 anni ago

    A me molti stereotipi piacciono.
    Se li usano spesso è perché funzionano.
    Il fatto è utilizzare bene gli stereotipi è quasi più difficile che cercare l’originalità
    Pochi sanno farlo. I più si limitano a copiare. Male.

      • 10 anni ago

      A me no, perché mi danno l’idea che chi li fa e li usa non voglia fare alcuno sforzo (e di fatti non lo fa), perché si affida a canovacci già sperimentati.
      E in tal caso dubito persino si possano definire autori, se ci si limita a riproporre la minestra scaldata, ma fatta da altri eoni prima.

      Ovvero, non sopporto l’idea generale che sta passando, che la novità ricercata sia il male assoluto. Così come non sono il male assoluto gli stereotipi. Sempre che ci si contenti di guardare, leggere sempre la stessa storia. Dopo un po’ è come mangiare patate lesse tutti i giorni.

        • 10 anni ago

        Vabbé, ma non parliamo di estremi.
        Le sperimentazioni tipo Biennale di Venezia sono assurde.
        Ma, faccio un esempio: io non ho mai sentito nella realtà un padre che si rivolge al figlio chiamandolo “campione”.
        Se l’ho sentito, è stato solo nei film americani.

        Ora, tu che crei un film, scrivi un racconto, disegni un fumetto, perché devi inserire la scena del papà che chiama il figlio “campione”?
        Neanche un minimo sforzo, vuoi fare, per trovare un sostantivo diverso?

        Si è arrivati, da tempo, a questo livello infimo di lassismo. Che oggettivamete è intollerabile.

        Tra l’altro, originale non vuol dire incomprensibile, sfatiamo anche questo concetto. Incomprensibile come sono spesso le opere di sperimentazione. 😀

        • 10 anni ago

        Io però giudico la ricerca ossessiva dell’originalità assolutamente altrettanto nociva.
        Ho letto sperimentazioni ributtanti, anche se forse più nello stile che non nei contenuti.
        Comunque poco male, su questa faccenda abbiamo visioni leggermente divergenti 😉