L'Attico

L’eredità

Se da un lato la società odierna mi atterrisce, dall’altro la trovo ricchissima.
Perché io scrivo distopie. E la cosa più bella per uno che scrive distopie è vedere dove stiamo andando a parare, per poi, si spera, accentuare i lati negativi tanto da farne uno scenario narrativo il più possibile interessante.

E lo scrivo con un po’ di rammarico, perché se non noi, chi pagherà davvero quest’andazzo saranno i nostri eredi.
Perché sapete come funziona l’eredità, giusto? Si entra in possesso di ogni bene del defunto. Sia in positivo che in negativo.
Coloro che erediteranno si sorbiranno anche i nostri debiti. Che sono tanti e profondi.

E quindi, vediamo un po’, la vita di un gorilla è equivalente a quella di un essere umano.
Una ragazza brucia in strada e nessuno ci bada/interviene/la soccorre.

E, con la scusa che siamo superimpegnati anche solo per fermarci a leggere: comunichiamo ormai per immagini.

Mmmhh.
No, dico, pensate a questo scenario distopico:

Una passeggiata in strada, una strada qualunque, un giorno qualunque.
Dovete seguire scrupolosamente la linea gialla lungo il marciapiede, è stata calcolata in modo che i pedoni possano evitare di essere schiacciati dai suicidi ai piani alti e, allo stesso tempo, evitare di essere macchiati dagli schizzi di sangue e cervella.

Proseguendo, lungo la zona pedonale, ci sono apposite cabine in cui trascinare vittime recalcitranti e usar loro violenza. Quando vi pare. Al costo di cinque euro a quarto d’ora.

E ancora, arrivati in piazza, c’è un mega-schermo dove vengono trasmesse le immagini delle esecuzioni: un uomo colpevole di aver ammazzato un cane viene dato in pasto ai cani. Un altro colpevole di aver cacciato un gorilla, viene consegnato ai gorilla che lo useranno come bambolotto, un altro che ha schiacciato una formica viene cosparso di miele e lasciato divorare dalle formiche.
Tutto sotto gli occhi di un pubblico festante, con la bava alla bocca, che inneggerà alla testa di maiale offerta al Signore delle Mosche.

Al di là di quelle platee prezzolate, ogni cosa in strada avviene nell’indifferenza generale. Perché nessuno bada a ciò che gli succede intorno. È tutto rumore di fondo.
Perché l’unica cosa che conta ce l’abbiamo lì, sullo schermo dello smarphone. È l’ultimo aggiornamento di status della star usa e getta, che vi sta mostrando che la sua cacca profuma.
Ha raccolto qualcosa come trecentomila like.

Ma no, che dici, questo scenario non potrebbe mai accadere, sei troppo pessimista.
Sarà…

Però, lasciatemelo dire, la direzione sembra tracciata.

Un mondo di persone indifferenti, che si fanno i fatti propri nella realtà e i cazzi di tutti nel virtuale.
Incapaci di articolare il linguaggio perché si esprimono a grugniti e che sono attirati dai colori vivaci, come i selvaggi delle isole del pacifico erano attirati dalle perline colorate. Non più capaci di leggere un libro o di comprenderlo, per cui ignari dei propri diritti, per legge ancora riportati su ogni contratto che ormai firmano con un clic, con la stessa noncuranza con cui Fantozzi timbrava il suo ultimo cartellino.

Una classe dominante che è talmente ricca e intoccabile (l’unica che ha serbato intatta la cultura, perché sa che la cultura è potere, oltre ai soldi) da essere considerata manifestazione della divinità (lode! Lode a chi ci ha donato facebook e la possibilità di esprimerci e dire che la vita di un gorilla vale di più di un esser umano perché di gorilla ce ne sono meno!).

E una forza di polizia che, una tantum, in occasione dei blackout o delle partite negli stadi, contiene gli episodi di violenza collettiva, gli unici per i quali è necessario un intervento, in effetti, perché di solito comportano anche la distruzione della proprietà privata, e quindi un po’ danno noia alla classe dominante.

il pianeta delle scimmie

Dai, è magnifico o no? Siate sinceri.

(soundtrack)

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    • 8 anni ago

    Tempo addietro Davide Mana scrisse un post sui racconti utopici, ebbene mi sono accorto di una cosa:
    non ho la minima idea (o ricordo) di come sia fatta una storia utopica -credibile-, invece mi riesce facile immaginare o accettare una distopia.
    Com’è fatta un’utopia?
    Comunque mi piace l’idea di una striscia gialla lungo i marciapiedi per evitare “incontri” con eventuali suicidi (“pacificati” per il politically correct suona meglio), c’è in pieno il senso del nostro tempo, quel senso di voler essere sicuri sempre e comunque, quell’idea che basti regolamentare e mettere un po di vernice gialla per rientrare nei giusti accettabili confini.
    E quello verà lasciato dalla maggioranza, della vernice gialla, un pennello e un manuale pieno di frasi retoriche da dire ad ogni evenienza.

    • Sì, perché io credo che saremo sempre più regolamentati, in qualunque campo. Non ricordo dove ho letto che un futuro prevedibile, dove vince la squadra più forte, dove non ci sono fenomeni imprevisti come il Leicester, sia di gran lunga preferibile.
      Perché gli eventi inattesi come i twister ci tolgono la serenità.
      La follia, twister a parte. Una vita piatta fatta di ritmi assolutamente prestabiliti.