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Antologia del Cinema

Atmosfera Zero (1981)

Oramai è appurato, due cose mi fanno impazzire:

a) il bianco e nero
e
b) lo spazio profondo

Con questo film, Atmosfera Zero (Outland) siamo dalle parti della variante b, su Io, uno dei satelliti di Giove. E se quest’ultimo, il gigante con l’occhio rosso, vi sembra dietro l’angolo, in termini di distanze siderali percorse dalla fantascienza, vi invito a ricordare quanto possa essere assoluta, sublime e terribile la visione che di esso ci comunica Kubrick.
Giove è una specie di tribunale per la razza umana. Il salto evolutivo, o la sua fine.
Qui si limita a fare da sfondo, gravare su una stazione mineraria localizzata sulla sua luna. Osserva, placido e maestoso, lo svolgersi degli eventi. Nessuna sorpresa, in fondo, dato che il budget a disposizione fu di soli sedici milioni di dollari.
Siamo ancora dalle parti di Peter Hyams. Regista singolare, altalenante, ma, pare strano dirlo ma non scontato, amante del buon cinema.
Pur senza conoscere i retroscena legati a questo film e soprattutto le sue fonti di ispirazione, è il genere western che la sua visione evoca, con il necessario spostamento dai deserti rocciosi e assolati, al vuoto siderale dell’atmosfera zero.

***

Una droga allucinogena serpeggia tra i minatori della stazione Con Am 27. Una sorta di super-anfetamina che determina altissimo rendimento sul lavoro, ma che “finisce col fotterti il cervello” (cit.). Al commissario William T. O’Niel (Sean Connery) il compito di investigare e porre argine alla diffusione del fenomeno.
Prestissimo, in una trama che è poco più che un pretesto, il poliziotto si viene a scontrare coi poteri forti, gli interessi della compagnia mineraria, ovviamente concentrata solo sui profitti più che sulla sorte di operai rimpiazzabili; interessi ben rappresentati dal direttore delle operazioni Mark Sheppard (Peter Boyle).
Il gioco, dopo una serie di suicidi e strani episodi di violenza psicotica, avviene a carte scoperte, coi contendenti che non tardano a confrontarsi, a parole. Inutile nascondersi, su una piccola e sperduta stazione mineraria le responsabilità sono ben chiare, nonostante manchino prove e volontà di sistemare le cose.
O’Niel, poliziotto difficile, classico anti-eroe che potrebbe avere una vita comodissima, ma che, più che per senso del dovere, per natura non riesce a starsene tranquillo, alle prese con una crisi matrimoniale (la moglie l’ha abbandonato su Io preferendo tornare indietro sulla Terra), si getta come un ariete contro Sheppard per annientarlo, lui e il suo losco traffico.
I due, come ho detto, si affrontano apertamente. Sembra, in fondo, che l’unico scopo alla base dell’agire di O’Niel sia una forte inimicizia per il dirigente unita ai suoi casini personali.
Il bello è che questo, poco, basta e avanza. E funziona.

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La trama esile non è aspetto deteriore, anzi, permette a Hyams, sceneggiatore oltre che regista, di focalizzarsi sul personaggio e sull’azione. E allora, la scenografia, costruita nei Pinewood Studios, diviene sfondo, per quanto affascinante e idealmente tecnologico, della lotta.
Mi viene da pensare, visto e considerato che l’impostazione fantascientifica fa solo da contorno e nulla più, che parimenti ai film di zombie, nei quali per creare un morto vivente basta un po’ di trucco e dire all’attore “barcolla e ringhia”, per un film di fantascienza basta qualche neon, dei lunghi corridoi metallici esagonali e qualche veduta dello spazio, nero e silenzioso, che atterrisce.
Ma per fortuna non è così. Alla fin fine, Atmosfera Zero è un film di genere atipico, affidato a un attore dall’impostazione classica, quale Sean Connery, che esprime una fisicità impostata, nelle scene d’azione, ma che sembra divertirsi.
Con lui, si diverte lo spettatore, quel che più conta.
E allora, da neri monitor a fosfori verdi, rappresentanti computer modello Mother, il supercomputer della Nostromo (Alien, 1979), ai quali porre domande come fossero oracoli, si transita allegramente attraverso le videochiamate, gli Shuttle orbitali e non, l’iper-sonno, necessario per trascorrere il lungo viaggio (un anno e più) verso la terra.

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[contiene qualche anticipazione]

La super droga, una dottoressa cinica e disillusa, l’ottima Frances Sternhagen e, infine, l’arrivo della diligenza (shuttle) con tanto di bounty killers, ovvero due assassini specializzati chiamati da Sheppard che sta rischiando il culo con la compagnia per i suoi contrasti con O’Niel e incaricati di far fuori il commissario.
E qui, nella lunghissima sequenza finale, c’è la parte di maggior valore del film. Non tanto per le soluzioni registiche di pregio, quanto perché, nonostante la lunghezza, scorre che è un piacere dato che tutti gli elementi, inseguimento, scontri a fuoco, fuga, occultamento, etc, sono dosati perfettamente, rendendo la stessa avvincente, nonostante i silenzi e la sovrabbondanza di angoli bui.
Insomma, un piccolo cult, se lo volete sapere. Il fatto che sia stato girato negli anni ’80, poi, non fa che essere una conferma. Cinema d’intrattenimento, fatto solo per il cinema. E poco più.

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