Tre episodi alla conclusione, per quello che è il prodotto televisivo dell’anno: Ash vs Evil Dead.
E non voglio sentire storie. È il prodotto delevisivo dell’anno, nato come cinema indipendente, concepito come elemento di rottura, che avrebbe inondato gli schermi dei teatri di sangue, la saga Evil Dead mantiene, in fondo, questa caratteristica emofiliaca originaria, ci sguazza, nel sangue, ne inonda lo schermo, ora televisivo, senza alcuna vergogna, o censura.
Plauso all’operazione.
Ma non è solo questione di colore, o di liquido, o di scene splatter; anche queste ultime, infatti, sono ben calibrate e del tutto coerenti con le caratteristiche salienti della saga.
Credo sia questo il messaggio intestino di una serie come questa: si pone come baluardo della differenza anagrafica contro un presente superficiale che vede nel giovane e nel costantemente nuovo unico motivo di rinnovato interesse. E nel politicamente edulcorato l’unica via per non offendere il creato intero, pendendo di fatto la lezione più importante: è il senso critico, che deve guidarci, non i vestiti che indossiamo.
Quindi Ash, ancora una volta, è Bruce Campbell, e viceversa.
Ash è l’unico personaggio, oggi, che può permettersi di rivolgersi a praticamente tutte le donne che incontra e appellarsi a loro con diminutivi precipitati dalle logore balconate del machismo d’epoca passagta: pasticcino, coniglietta, tesoruccio, piccolina e via dicendo, e risultare simpatico, anzi di più.
Perché, è ovvio, quei termini così maschilisti sono stati denaturati, edulcorati dalla società, per fortuna, e ora fanno sorridere, devono far sorridere, sarebbe assurdo il contrario. Il guaio è che, a furia di edulcorare, abbiamo svilito i tratti dell’eroe pulp, a scapito di personaggi insulsi che nessuna traccia hanno lasciato dietro di sé. Ma, per fortuna, c’è lui: Ash.
Sitomatico del vecchio pulp, unito al nuovo, della leggerezza di un’epoca, la presente, che pretende rispetto e tolleranza e crede di ottenerle nascondendo la polvere sotto il tappeto e proteggendo gli innocenti dalle brutture, quali che siano. Sintomatico del fatto che, al di là dell’aspetto e delle rozze parole, Ash è quello che, sul finire dell’episodio, abbandona i suoi amici per andare a rischiare la pelle da solo, una volta in più urlando che non è l’apparenza che conta, non è la parola che offende, ma le azioni e i sentimenti dietro di esse, così come le azioni stesse, e le parole nobilitano.
Comunicare è la via per superare le incomprensioni. Ash sembra dirci questo, attraverso le sue battute sgangherate, oltre gli ettolitri di sangue versato. Perché ok, comunicare e scusarsi con una donna per essere stato troppo idiota, ok anche provarci e essere goffo, ma parlare e amare, soprattutto essere riamati da coloro che ci accompagnano, è fondamentale. Poi, vabbé, tra un round e l’altro si possono pure ammazzare i demoni. In fondo ci piace.
Ash è un rozzo gentiluomo di altri tempi. Il mondo ha solo da imparare, da lui.
E poi, c’è lo chalet… il maledetto chalet. Lacrimuccia…