Ogni episodio di Ash vs Evil Dead è un misto di malinconia e felicità.
Un po’ come Ash, personaggio per nulla compassato, pigro, ozioso, capriccioso, che non ha assolutamente voglia di fare quello che deve fare.
Dopotutto, lui è El Jefe, e deve salvare il mondo.
Ma poi, chi l’ha detto che le profezie devono essere rispettate alla lettera?
Esatto, a parte la scandalosa durata di 25 minuti a episodio, è anche l’impossibilità di fare riferimenti all’Armata delle Tenebre che mi rode.
In ogni caso, è la mia serie preferita.
E lo è anche per ragioni meno ovvie della principale.
La più importante è che c’è Ash. E che Ash è Bruce Campbell.
Questo basta e avanza.
Le altre sono che i figuri che tramano dietro questo parco giochi fatto telefilm sono riusciti a prendere due comprimari dal nulla, Pablo e Kel (Kelly), e a renderli nemmeno simpatici, ma di più, fondamentali.
Adesso, ad esempio, non riesco a immaginare un Ash solitario che affronta il male. Adesso io cerco il trio. Lo pretendo, non riesco a farne a meno.
E comunque, pur mancando i riferimenti al terzo capitolo, abbondano quelli ai precedenti specialmente al nuero due che, altro non è, se conoscete la dottrina, che un remake del primo, con qualche differenza nella continuity e molti soldi in più (e sì, ok, anche molto più humour nero e surrealismo).
Fa la sua comparsa la mano di Ash, quella che era finita preda dei demoni di Kandar e tagliata dall’alone wolf, che poi l’avrebbe rimpiazzata con la fida motosega.
La mano se la porta in giro, come trofeo e strumento tracciante, la nostra Ruby (Lucy Lawless) che, dopo aver salvato la poliziotta Amanda da quel che restava dei demoni del Books from Beyond, scopriamo l’ha giurata al proprietario dell’arto perché coinvolta indirettamente, tramite parentela, nel massacro avvenuto allo chalet.
Il trio, come da puntata precedente, si reca dallo zio di Pablo, detto Brujo (stregone) che si suppone possa essere in grado di capirci qualcosa, circa il mistero del Necronomicon, e possa rimettere Ash sulla retta via, in modo che possa compiere il suo destino.
Una puntata, questa quarta, all’insegna dei viaggi della mente sotto acido.
Ash deve ritrovare la sua forma mentis, deve corrispondere all’immagine di vendicatore, di combattente delle forze del male, ruolo e immagine che il suo essere umano, troppo umano gli impedisce di assumere.
Proprio come detto, Ash è palesemente inadeguato al ruolo, primo perché è invecchiato, anche se in splendida forma, però si tinge i capelli e sporca le federe dei cuscini di nero, e secondo perché non ha la minima intenzione di sobbarcarsi il destino del mondo.
Lui è, fondamentalmente, uno che preferisce far finta di nulla, salvo poi essere costretto dalla circostanza. In tempi lontani l’avrebbero chiamata pietas, ce l’aveva Enea, che si sottometteva alla volontà degli dei.
Ma i tempi sono, al contrario, modernissimi, e anche un po’ attempati, come Ash. E questo episodio è un’occasione per conoscerlo nell’intimo, il nostro alone wolf, che ha eletto, come rifugio della mente, la città di Jacksonville, la meta vagheggiata, quella che avrebbe dovuto raggiungere quel giorno, di tanti anni fa, se non fosse in qualche modo finito allo chalet a evocare per sbaglio i demoni.
Jacksonville è il paradiso perduto di Ash, il rifugio che può dargli la forza di diventare il paladino di cui il mondo necessita.
E mentre Pablo tenta di costruire una nuova mano a Ash, la nostra Kel, che nel terzo episodio ha salvato le chiappe di Ash e Pablo contro il demone psichico, proprio da lui è stata posseduta, e ora tenterà di ucciderlo a più riprese.
E sì che Ash ha sempre avuto un rapporto speciale con le donne…
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