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Alfred Hitchcock

Se in un racconto viene mostrato un fucile appeso a una parete, quel fucile prima o poi sparerà. (Jurij Lotman, ne “La cultura e l’esplosione” si riferisce alla raccomandazione di Cechov)

Alfred Hitchcock
Alfred Hitchcock

Sembra che Alfred Hitchcock avesse fatto tesoro di quella raccomandazione, ma a modo suo. Già sorrido perché immagino i volti tesi di indignazione degli ultracritici che intasano internet, i puristi della forma e delle categorie. Io sono sempre stato un rivoluzionario, dal punto di vista della letteratura e giungo ad affermare che persino il cinema è letteratura, poiché, sebbene ci debba essere un obbligatorio adattamento delle consuetudini tra una forma e l’altra d’espressione, la sostanza è la stessa.
Su Hitchcock potrei scrivere un articolo fiume. Basta digitare il suo nome su Google. Come fanno tutti quelli che si atteggiano a falsi critici di spessore. Ma a me piace scrivere, non stendere oziose biografie. Della sua vasta produzione ho visto soltanto Il delitto perfetto (Dial M for Murder) (1954), La finestra sul cortile (Rear Window) (1954), ho adocchiato La donna che visse due volte (Vertigo) (1958) e mi sono goduto Psycho (1960) e Gli uccelli (The Birds) (1963); quindi non ho la pretesa e la vanità di spiegarvi chi fosse Hitchcock e quale contributo innovativo abbia portato alla cinematografia. Sorvolerò sulle sue debolezze e le sue ossessioni e sui pettegolezzi circa il sentimento malsano che egli, si dice, nutrisse per un tipo particolare di donna, alta, snella, bionda e algida, tutte caratteristiche che, questo è vero, egli ricercò costantemente nelle protagoniste dei suoi film. Anni fa acquistai in edicola una videcassetta di Psycho; lo feci dopo aver avuto l’infelice idea di guardarmi il remake del 1998 di Gus Van Sant. Volevo capire perché. Vedere le differenze. Tentare di comprendere le ragioni che hanno fatto del film di Hitchcock un capolavoro e dell’altro uno spreco di soldi.
I due scorrono in parallelo, Van Sant si preoccupa di riproporre quell’iniziale atmosfera dinoccolata, sorniona, tranquilla della pellicola in bianco e nero, ma chissà perché, fallisce e Alfred prende il sopravvento e lo oscura.

Psycho – trailer

Si inizia col MacGuffin, Marion (Janet Leigh), che per un mezz’ora sembra essere la protagonista, ruba un’ingente somma di denaro al suo datore di lavoro e fugge in auto, è assalita da dubbi e ripensamenti, più volte è sul punto di rinunciare e teme di essere scoperta e tratta in arresto fino a che, verso sera, si ferma in un motel fuori mano gestito da un tale di nome Norman Bates (Anthony Perkins)…

“La televisione ha portato l’omicidio nelle case, il posto con cui l’omicidio ha più attinenza” (A. Hitchcock)

Il MacGuffin è lo stratagemma narrativo di Hitchcock, la scusa per far partire il film. In letteratura, quei soldi dovrebbero essere il filo conduttore della trama, ma in realtà, non sono poi così importanti perché Marion muore nella celeberrima, contestata, censurata, “rigirata” scena della doccia uccisa da Bates non per i soldi che avrebbero dovuto, ma non hanno “sparato”, ma perché è uno psicopatico ed ignora persino l’esistenza degli stessi.
E così, Hitchcock non solo osava l’inosabile, ammazzava la protagonista dopo mezz’ora per poi affidare il ruolo all’irresistibile “quartetto” costituito da Norman Bates, sua “madre”, Arbogast (Martin Balsam) l’investigatore e Lila Crane (Vera Miles), sorella di Marion, ma mostrava artifici, giocherellava con le imperfezioni della storia, quasi volesse porre in essere una perfetta rappresentazione neorealista. La vita, si sa, è molto più ricca di qualsiasi storia narrata che, per forza di cose, deve essere purgata dalle sbavature per risultare un perfetto meccanismo artificiale.
Mi piace ricordare un aneddoto riguardante la già citata scena della doccia. Le nudità suggerite insite in essa fecero tremare i produttori che imposero al regista di girarla nuovamente prima della distribuzione; egli, da attore consumato o da genio del male non la toccò minimamente, bensì, dopo un intervallo di tempo ragionevole la ripropose a quegli stessi produttori così com’era assicurando loro, però, di aver effettuato tagli e di aver rigirato parti della sequenza e, magicamente, questa volta venne approvata.

(1899-1980)


Psycho – Scena della Doccia (LEGO version)

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