Il sottotitolo del suo blog, Strategie Evolutive, recita: ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti.
È da ieri che ci penso. Ah! The irony…
La retorica del superuomo lo ha sempre fatto molto ridere.
Prima di iniziare davvero, però, facciamo un po’ di musica, a lui sarebbe piaciuta.
Ho conosciuto Davide qui su internet, era l’epoca dei blog, il suo primo commento qui risale al 2011, ma io ricordo bene il mio primo, scritto in casa sua, a proposito del fatto che fosse difficile trovare un lavoro per cui entrambi avevamo studiato.
Quel commento lo fece preoccupare. Gli ero sembrato giù di morale. Troppo.
Così era Davide, si preoccupava e nemmeno mi conosceva. Ero solo un nome sotto un profilo. E lui si preoccupava di questo sconosciuto.
Non ho mai capito perché mi abbia trovato così interessante, tanto da voler costruire con me un’amicizia.
Io che sono chiuso, scorbutico, che non assorbo il mondo volentieri, che gestisco qualsiasi cosa mi capiti morendo dentro. E poi… l’ironia.
Davide non amava l’ironia. Io sono fatto di ironia, è il mio modo di decifrare il tutto, non prendere mai nulla sul serio.
Probabilmente ci siamo limati a vicenda. Alla fine lui aveva capito il mio modo di essere, io il suo. Andavamo d’accordo. Non si parlava quasi mai di lavoro, ma di zen, tao, di fumetti, di scazzi quotidiani, di sogni e delusioni. Ho perso un amico.
Ci siamo incontrati di persona a Nizza Monferrato. C’era un tempo da lupi, era stato diramato un allarme per un possibile rischio di alluvione. Due serate surreali e indimenticabili.
Quattro anni fa, il 21 Novembre, ho perso mia madre. E siccome alle forze superiori piace infierire, nella notte tra il 21 e il 22 Novembre di quest’anno si sono portate via pure Davide, tra l’altro in modalità spaventosamente simili.
Ho rivissuto tutto ancora una volta.
Quattro anni fa però lui c’era.
Io ero come il sottotitolo del suo blog. Non ridevo da circa sei mesi, non lavoravo, mi limitavo a esistere cercando di rimettere insieme i cocci. Era da un po’, da prima della cosa di mia madre, che quelle forze superiori avevano deciso di pestarmi a dovere.
Davide chiacchierava, non faceva altro: erano chiacchiere suadenti, brillanti, potevano durare ore o anche solo lo spazio di due singoli messaggi. Mi ha trovato una commissione che mi ha permesso di tornare a lavorare, mi ha detto di comprare un microfono…
– Che ci devo fare con un microfono?
– Senti, ho comprato questo libro. È un elenco di tutti i film fantasy girati fino a oggi. Ti va se facciamo un podcast sul fantasy? Parliamo di tutti questi film.
– Sì, ma… sei sicuro? Col fantasy non ho questo gran rapporto. A me il fantasy sta sulle palle!
– Certo, al limite litighiamo. Sarà divertente.
– Va bene, dai. Ci sto.
– Io penso all’audio, tu alle grafiche. Solo che ci serve un titolo.
– Facile: Chiodi Rossi.
– Bello! Mi piace.
Ecco com’è nato il nostro podcast, dal suo amore per il fantasy e le chiacchierate, dalla mia idiosincrasia. Gli serviva una visione diversa, io guardo alle cose in modo diverso. Forse è stato questo.
Con quello scambio di battute Davide mi ha trascinato fuori dal baratro della depressione, mi ha spinto a far sentire la mia voce in pubblico.
Entrambi odiavamo le nostre voci, perché siamo due deficienti.
Un mese dopo che lui è finito in ospedale, io ho tenuto la presentazione del mio libro. Ho parlato in pubblico, grazie a lui.
Sono riuscito a comunicare con lui una sola volta, in questi dieci mesi in cui ci è stato sottratto. Sparito, dalla sera alla mattina. Abbiamo scherzato.
Sono riuscito a farlo ridere ancora. Non so perché ma sono sempre stato capace di farlo ridere. La prova di ciò è in tutte le puntate che abbiamo registrato: Chiodi Rossi era il podcast delle risate. Le nostre.
Sei stato la persona più colta, educata e intelligente che abbia mai conosciuto. La più umana. Sei stato un sopravvissuto.
È stata una bella camminata fino a qui. Speravo potesse durare di più. Ne ero così sicuro…
Ciao Davide, ci rivediamo in un’altra vita.