L'Attico

Ad Alta Definizione

guerra fredda

Riflettevo, guardando i primi due episodi di 1992, su quanto sia strana le percezione della storia.
Il nostro mondo è, almeno in teoria, in continua evoluzione. Evoluzione che viene intesa come miglioramento costante.
Alcune volte ci riesce, questa evoluzione, a migliorare le cose. Altre no.
Ma non è questo il punto.
Riflettevo sul senso della storia.
Ero un ragazzo, all’epoca dei fatti, nel 1992. Quella tecnologia coeva mostrata nella serie televisiva oggi sembra ciò che è: archeologia industriale.
Tempi simpatici in cui grossi telefoni cellulari dotati di sportellino venivano dati in dono a manager rampanti, che così avrebbero potuto e dovuto essere sempre reperibili ai desideri dei loro capi.
Nel ’92 stavamo creando le basi di ciò che siamo diventati.
La chiamereste evoluzione?

Eppure, la stranezza insita nel non percepire eventi storici come tali è propria del nostro essere, che è incapace di sguardo critico, di proiezione futura. Non siamo profeti, viviamo ancorati al presente. Dovremmo sforzarci di diventarlo, per evitare guai tipo il sovrappopolamento e l’esaurimento di cibo e risorse, ma proprio non ci riusciamo. in fondo, che ci frega del futuro a noi altri che abbiamo una prospettiva di vita limitata?
Non si dice così?
È solo il passato, lo scorrere del tempo, gli archivi storici, le memorie, i ricordi, il confronto, in definitiva, tra ciò che è e ciò che si siamo lasciati alle spalle, che ci rende pienamente consapevoli di essere passati attraverso la storia, e averne lasciato un segno, più o meno indelebile.

non è la raiGuardavo le immagini sgranate, nelle TV a tubo catodico del tempo, di Non è la RAI. Sgranate, per l’appunto, lontane anni luce rispetto ai nostri televisori piatti da 40 pollici con definizione ubergiga, capaci di farci vedere le rughe della D’Urso a cinque metri di distanza.
C’ero anche io, come tutti i miei coetanei a 16-17 anni, a guardare quell’orgia pomeridiana che era Non è la RAI.
Un programma televisivo che, oggi, passati vent’anni, c’è chi addirittura ritiene inconcepibile. Eppure è accaduto, fa parte del nostro bagaglio storico.

Quanto tempo deve passare, esattamente, perché ci si renda conto che il nostro presente è ufficialmente passato alla fase archiviazione non c’è dato sapere.
Immagini degli anni 2000 oggi appaiono vecchie, superate, sempre meno definite, proiettati come siamo nella augmented reality, la realtà aumentata, che renda l’intrattenimento e la comunicazione più veri del vero.

Reagan e Gorbaciov
Reagan e Gorbaciov

Pensavo agli Anni Ottanta, la fase finale della Guerra Fredda, della paura nucleare, del definitivo conflitto tra superpotenze.
Quando ero bambino, pur essendo passati abbastanza anni dalla crisi dei missili di Cuba, a scuola si veniva educati alla lettura del planisfero.
Tutta la nostra speranza, da piccoli che s’affacciavano alla storia, era rappresentata da quelle tre lettere, U.S.A, una grande nazione dall’altra parte del mondo, ovunque fosse. Loro avevano il presidente Reagan e stavano progettando lo Scudo Spaziale, un sistema difensivo che io immaginavo fatto di pura e solida energia, che avrebbe tenuto il mondo occidentale al sicuro dalle testate nucleari sovietiche.
Perché c’erano anche gli altri, dall’altra parte del mondo, la nazione più grande del globo per estensione, di solito colorata di rosso nel planisfero geo-politico: l’U.R.S.S.
Avevano anche una lettera in più. E per qualche ragione che da bambino non riuscivo a comprendere, stavano sempre col dito sul bottone dei missili nucleari. Per farci fuori tutti. E far fuori anche loro stessi, ché la risposta americana avrebbe distrutto ogni cosa. Per circa trentamila anni.

james-foley-isisNon so se voi, più giovani, riuscirete mai a capire quello stato mentale: vivevamo, e la cosa si fece anche peggiore dopo gli eventi di Chernobyl, in uno stato di rassegnazione, ben coscienti che da un momento all’altro avremmo potuto vedere il lampo all’orizzonte, ed essere spazzati via.
Le cose, tra i due blocchi di potere, raramente, a ben guardare i documenti storici, s’erano ridotte a quei livelli, ma l’impressione generale era di catastrofe imminente.
Era quella di un mondo colorato di rosso e di azzurro. Un pianeta diviso a metà. E nessuno poteva farci niente.

Tranne il tempo, che ha trascinato via con sé la paura, e persino l’Unione Sovietica.

Oggi abbiamo squadroni di gente vestita con turbanti neri, cui piace tagliare teste.
Ovvio, le cose non stanno semplicemente così. Come non erano così semplici all’epoca della Guerra Fredda.
Ma mi chiedevo, in prospettiva, se così non le immaginano i bambini, adesso.
Demoni neri dall’altra parte del Mediterraneo, che bruciano o sgozzano persone vestite con tute arancioni.

Anche oggi, probabilmente, viviamo in uno stato di arresa apatia. Ed è questo patrimonio di rassegnazione che noi stiamo dando alla storia. E di guerre religiose. E conflitti per l’ultima goccia di petrolio. E di polemiche, e di liti sciocche sui social network. L’immagine di un pollaio. Però ad alta definizione.
O almeno, questo è quello che crediamo. Perché tra vent’anni, quando guarderemo indietro al 2015, le immagini ci sembreranno come sempre sgranate, la moda coeva ridicola, la gente dell’epoca una manica di scoppiati incapaci di decidere alcunché.
E rideremo di noi stessi. Come facciamo sempre, guardando al passato.

Non la migliore delle eredità, a pensarci.

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  • Io ho fatto in tempo a vivere il mondo nelle immagini in bianco e nero del telegiornale, ad esempio le immagini sfocate della guerra del Vietnam con sagome che si muovevano guardinghe ed elicotteri o aerei che sparavano dappertutto. E anche lì era guerra fredda, una situazione drammatica in cui sembrava che “loro” prendessero inevitabilmente terreno e a “noi” restava solo di ripararci dietro allo scudo nucleare americano, promettendo la distruzione reciproca visto che non eravamo abbastanza forti sul campo… oggi sembra strano, eh? Ma chi non c’era non può farsi l’idea della cortina di ferro, come non può capire cosa fosse nei primi anni ’70 la sensazione che il mondo stesse cambiando, l’odio sterile e la morte inutile che ha cominciato a piovere a casaccio quando s’è visto che non cambiava niente, il consumismo negli anni ’80 con quelle merdate mandate in TV per rincoglionirci ecc…

    Tutto diventa una vecchia fotografia sgranata.
    Anche noi stessi. Rivedo le foto di quando ho fatto il militare (1986) armato con i ferrivecchi lasciati dagli USA dopo la seconda guerra mondiale, e anche quelle sono orami foto scolorite: non riesco nemmeno più a ricordare quei giorni, e chiunque abbia un po’ di anni meno di me non è stato obbligato a buttare via un anno in una caserma, e giustamente nulla ne sa, e nulla ne vuole sapere.

    E un giorno di qualche anno fa sono stato un pivello a imparare il mestiere, in un ufficio pieno di vecchi colleghi e grandi capi che sapevano tutto, e poi, sembra un attimo, mi sono trovato a essere “il vecchio” che cerca di comandare un gruppo di ragazzini che quando fanno qualcosa pare che ti facciano un gran favore.

    Il tempo porta via tutto in un attimo.
    Anche noi facciamo appena in tempo ad accorgercene, e poi siamo il passato.

    • Bellissimo commento.

  • « Forse dovrei confessarvi un piccolo segreto. Nel futuro nessuno vi ama. Questo periodo è visto come pieno di pecore pigre, egoiste, civicamente ignoranti. Forse dovreste preoccuparvi meno di me e più di questo. »

    Non credo alla bufala di John Titor, ma questa frase la sento come vera.
    Forse non c’entra un beneamato accidente con questo post, ma è la prima cosa che mi è venuta in mente nel leggerlo, nel ricordare i 90’s, nel pensare a come una volta immaginavamo questo futuro e com’è visto dal presente.

    • Io invece trovo la citazione perfettamente in tema. 😉

  • Vivere il presente non significa dimenticarsi che esiste un futuro, e immaginarlo – è questo, che molti si sono dimenticati, e che a molti ha fatto comodo chetanti dimenticassero.
    Io sono diventato maggiorenne negli anni ’80, ero in gita al CERN col liceo durante la crisi di Cernobyl, e nel 1992 mi sono perso gran parte del baraccone perché vivevo, studiavo e lavoravo all’estero.
    E pensavo al futuro – e non ero l’unico.
    Perché, ed è questa la cosa che io trovo interessante, nonostante il senso oppressivo di minaccia dato dalla coda lunga della Guerra Fredda, non c’era questo senso di assenza del futuro.
    L’idea che si debba vivere in un presente esteso è stata sempre uno dei pilastri della nostra politica e della nostra società, ma è divenuta ubiqua e indiscutibile dopo il 1992, con la Seconda Repubblica.
    Come diceva un mio commilitone guardando proprio Non é la RAI (nel ’94), “Ma chi è che produce simili c*zzate? Ah, già, il Presidente del Consiglio.”

    • Infatti, altra cosa sulla quale ragionavo è che il 1992 può essere considerato l’anno in cui è iniziata la carestia culturale italiana. Accompagnata dal suono degli applausi del popolo bovino, soddisfatto di avere la panza piena e il cellulare in tasca.

      • Ho sentito una frase, proprio in quegli anni, che mi è rimasta impressa – e non ricordo chi l’abbia detta: l’intero progetto culturale alle spalle dell’ascesa di Berlusconi consisteva nel convincere gli italiani che era perfettamente ok essere dei mediocri.
        Sentire qualcuno proclamare in rete, pochi mesi fa, che la mediocrità è un diritto, mi ha datoi brividi.

  • E’ difficile proiettarsi nel futuro quando da secoli il mantra dell’umanità è diventato “vivi il presente”, “cogli l’attimo”, “non curarti del futuro” e via dicendo. Non che non siano saggi consigli, ma mi sono parsi sempre modi per fare meno del necessario, abbassando la qualità della necessità anziché alzare quella della risposta alla suddetta. Mi sono un po’ incartato sul finale, ma credo di aver reso l’idea…

    • Probabilmente andrà così ancora per diverse generazioni. L’essere umano è poco propenso a cambiare, almeno nel breve termine.

      • E finché lo si fa come singoli, ok, ci può anche stare, nessuno nasce con tale capacità di visione. I guai arrivano quando ci dimentichiamo che dobbiamo pensare anche come specie.
        Siamo ancora piccoli.

      • Troppa fortuna a volte, altre troppo poca. Credo che la percezione del tempo soggettivo sia ancora peggiore di quella del “tempo storico” che invece fingiamo non ci riguardi affatto. Pensiamo che avremo tempo e non ne abbiamo. Sia come singoli che come specie.