Cinema

[REC]³ Génesis (2012)

E siamo al terzo capitolo della saga zombie spagnola. Che, in ogni caso, ha dalla sua un fatto, di essere spagnola.
Alla fine, come diceva Conan, nessuno ricorderà se eravamo uomini buoni o malvagi, quello che conta è che abbiamo combattuto. Gli spagnoli hanno una saga zombie moderna, che tiene testa al mercato estero e viene puntualmente clonata dagli ammerigani; Noi… cos’abbiamo? E non vale rispondere Lucio Fulci (Chi?? Fulci, a’ Maurì, un onesto artigiano der cinema!).
La saga di REC ha incontrato, per ogni capitolo, pareri discordanti. Siamo arrivati alla Genesi, diretta dal solo Paco Plaza, che finora aveva fatto da spalla a Balaguerò.
Si sente il cambio di regia? Sì, si sente.
Si sentono tante altre cose delle quali parleremo.
Siamo alle prese con un universo narrativo in cerca di coerenza. Uno scenario che evidentemente gli autori vogliono sfruttare ancora, non si sa bene fino a che punto, dal momento che, come ogni personaggio funzionale al cinema, anche gli zombie conoscono le stagioni e, adesso, nonostante le droghe che ti fanno diventare cannibale, hanno un po’ rotto. Non detesto il genere, né mi è venuto in antipatia, detesto la sciatteria con la quale viene ormai trattato.
Coerenza, dicevo, che si esplica attraverso un tentativo di continuity con la storia principale, il primo REC.
Il 3 è ambientato in una villa dove si festeggia un matrimonio, tra gli invitati c’è un veterinario della clinica in cui il simpatico cagnolino del primo capitolo, quello che ha diffuso il virus, è stato ricoverato. L’uomo è stato morso a una mano…

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Lo ritenete un collegamento sciocco? Secondo me ci sta, ho visto (e letto) di peggio.
Fatta scattare l’epidemia nel pieno del trenino, durante i festeggiamenti, il resto è storia. Plaza, però, non è Balaguerò, probabilmente non lo sarà mai. Il taglio dato all’operazione esula dal thriller, dagli angoli bui e dagli assalti improvvisi per tramutarsi in puro manierismo applicato al cinema.
Manierismo di riprese, prima affidate a telecamere portatili, che vengono rotte e, dopo i titoli di testa, a cineprese classiche. Sì, il film si trasforma da mockumentary in… film. Tanto per far vedere che si può, e per demolire (secondo Plaza), qualche cliché, a cominciare dal tizio che deve riprendere tutto perché la gente deve sapere.
Il secondo manierismo s’avverte nel modo in cui gli zombie vengono trattati. Se ne stanno sullo sfondo, limitandosi a sbranare qualcuno ogni tanto e a ringhiare, direi quasi che fanno tappezzeria sporca di sangue. E poi questi sono infetti in senso Romeriano. Vanno lenti.

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In spregio, quindi, di ciò che è stato narrato prima, non corrono, ma camminano e barcollano. Ah, già, sono posseduti.
Ma ripeto, l’accenno alla storia va a farsi benedire, insieme al prete che, per tenerli buoni, legge brani della Genesi (da cui il titolo) all’interfono.
In realtà, REC 3 ha tutta l’aria di essere un tentativo di smitizzazione di un intero genere, arriva infatti a toccare livelli di trash epici, da b-movie, e lo fa in modo sfacciato, con coerenza, evitando di cadere nell’umorismo involontario.
Ragion per cui, non si tratta, come potrebbe sembrare, di un film risultante dalla perdita di controllo da parte del suo regista, ma di intenzionalità.
Sui motivi e sulla validità, se ne può discutere, ma anche no.
La puzza di strumentalizzazione si sente nella scelta di far camminare gli zombie, perché una regia svogliata, che forse aveva in mente uno storyboard ben preciso, non ha voluto sforzarsi (insieme agli attori) per ipotizzare scene più credibili, onde assicurare ai protagonisti la sopravvivenza. Per quello che si vede, infatti, con gli infetti velocisti, il massacro sarebbe stato rapido e totale.

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Smitizzazione, quindi e… satira? Non so, se tra i superstiti mi metti un “agente” della SIAE venuto al matrimonio per prendere nota dei brani musicali diffusi e, eventualmente, applicare sanzioni, diventi il mio eroe. Stesso agente che dopo un po’ spacca il cranio a una infetta cicciona con una chiave per bulloni. E poi c’è Sponge-John, un tizio ficcato in un costume di gommapiuma a forma di spugna, che nega con tutte le forze di essere Spongebob, per evitare casini col copyright.
Insomma, di materiale trash ce n’è in abbondanza. E non finisce qui, dato che Koldo, il protagonista, si rifugia nella cappella privata del complesso e, chiedendo aiuto a Dio, vede un’armatura medievale, provvista di scudo e mazza chiodata e decide d’indossarla come San Giorgio per andare a salvare la sua sposa.
E la mogliettina che massacra gli zombie a colpi di motosega al grido di “Questo è il mio giorno!”, dopo che con la stessa arma s’è tranciata lo strascico dell’abito mettendo in mostra la giarrettiera rossa…
A essere onesti, moltissime situazioni potenzialmente brillanti, come quelle qui sopra, potevano essere trattate meglio. Se s’era deciso per la virata surreale tendente al comico, allora si doveva insistere su quella linea, fino alla fine.
Così com’è, invece, REC 3 è il classico caso di vorrei ma non posso, che si spiaggia sui teloni di contenimento posti, all’uscita della villa, dal solito cordone sanitario.

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