Cinema

Parenti Serpenti di M. Monicelli

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Il Natale è magico: ha il grande potere di scatenare la negatività repressa, sublimandola in cenoni, regali e parole scambiate, per forza, con gente di cui non ce ne frega nulla.

Però è Natale.

E quindi siamo costretti a farlo. Non so chi e quando abbia partorito l’idea di imporre agli uomini una festività dalla quale non si può fuggire.
Chiunque sia stato, era un’Eminenza Nera: un Legale Malvagio. Un abominio alla specie umana.

Non si può fuggire, quindi. Almeno in teoria.

Poi ci sono quelli come me, che dopo una trentina di tentativi (e altrettanti anni) andati a vuoto, infine ce l’hanno fatta: si sono sottratti. Preferendo vivere questi giorni di “festa” come una domenica prolungata. Staccando la spina da tutto, trascorrendo del tempo coi fatti miei.
Nel mio caso guardando, come tutti gli anni, due film, uno alla vigilia, un film che conoscete tutti: Una Poltrona per Due. È diventato come il panettone. Meglio, anzi, visto che non ti fa restare l’orribile uvetta tra i denti.

Il secondo al 25: Parenti Serpenti.

Il primo, Una Poltrona per Due, per me è la fantasia, ciò che corrisponde al motto: per aspera ad astra.

Dalle avversità alle stelle. Il desiderio di realizzazione, l’illusione benefica di riuscire in qualunque impresa.

Italiano: Mario Monicelli, regista.
Italiano: Mario Monicelli, regista. (Photo credit: Wikipedia)

Una sera di sogno, come quando ero ragazzo, seguita poi dalla realtà, tipica del cinema italiano: quello di Mario Monicelli.

Quindi per una volta non parlo di “realismo del cinema” con accezione negativa, tutt’altro.

Parenti Serpenti (1992) è un capolavoro: ritrae la borghesia italiana al suo apice, al meglio della sua essenza, fatta d’ipocrisia, invidia, peccatucci, menzogne, cattiveria. E colossale ignoranza.

Mi sono sempre chiesto come abbiano fatto a riuscire in una rappresentazione così vera della realtà dei fatti.

Mi sono risposto solo stamane: è probabile che tutti loro, coinvolti nella realizzazione di questo film, abbiano attinto alla propria esperienza personale e familiare.

Tutti loro, bravissimi attori (su tutti Marina Confalone, che dà il volto a una donna di mezza età depressa, cui piace solo spettegolare di matrimoni e malattie mortali con altra gente che odia) non hanno fatto altro che alludere a se stessi, alle loro vicissitudini, alle decine di cenoni di Natale obbligatori, in cui ci si scambia regali orrendi, in cui si discerne di puttanate desunte dalla TV, per darsi un tono, in cui trionfa un’ignoranza becera in piena autoesaltazione, ovvero ignoranti & orgogliosi di esserlo, finché si riesce a stendere una tovaglia e a sedersi a una tavola imbandita. Perché il cenone è, meglio era, sinonimo di “libertà & prosperità”: era la democrazia occidentale, era il sogno della ricchezza regalataci dai nostri padri, insieme a un sistema di vita che tramortisce lo spirito dell’uomo iniettando colesterolo e zuccheri nelle sue vene. Una sorta di eutanasia, la dolce morte.

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Un film, quello di Monicelli, che ogni volta è capace di agghiacciarmi. Perché è vero, spietato, reale.

Certo, non a tutti verrebbe in mente di far saltare in aria i genitori anziani piuttosto che accudirli, ma… tutto il resto è atrocemente reale.

E, difatti, è la parte “preparatoria” al gran botto di fine d’anno, quella che mi terrorizza di più: il raduno, le parole vuote, la costrizione di prestarsi a una tradizione per pura meccanica, come fossimo automi obbligati, una volta l’anno, a ripetere un rituale che non abbiamo mai capito e non vogliamo capire, ma al quale, allo stesso tempo, non riusciamo a sottrarci, anche noi che lo detestiamo, ché siamo in minoranza, e quindi finiremmo per sentirci anche più alieni del solito, lasciandoci trascinare dalla marea.

Ma stavolta l’ho fatto. Mi sono sottratto, un po’ perché avevo i cavoli miei, un po’ perché, da un paio d’anni a questa parte, ho deciso che val la pena provare a vivere secondo la propria natura. E son stati due giorni belli. Un’esperienza da ripetere.

Come quella di rivedere questo film, una volta l’anno, per allenare la memoria. Per ricordarsi cosa possiamo evitare. Cosa non dobbiamo diventare.

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  • Post spettacolare, Cap.
    Infatti il problema non è il realismo in sé, il problema è che oggi il cinema italiano questo tipo di realismo non è più in grado di reggerlo.
    Perché ci sbatte in faccia ciò che siamo, o ciò che potremmo diventare se non ci sottraiamo.

    • Ma infatti il realismo non è mai un problema, finché si discute di cose reali. Finché si chiama “realismo” ciò che fingiamo di essere, ecco, a quel punto il meccanismo non funziona più, e crolla. Perché si vede da lontano che è tutto finto.

      Grazie, Lucy. <3