«Ho lavorato laggiù per dieci anni, poi c’è stata una crisi economica… In una settimana sono crollate quattordici banche.»
Questa frase vi ricorda qualcosa, vero? È tragicamente e ferocemente attuale.
Sempre pensato che l’arte debba colpire, intrattenere, divertire, anticipare scenari possibili. L’arte è interpretazione, soggettiva o oggettiva, della realtà eteronoma. Quella che ci circonda, in cui affoghiamo.
John Carpenter, come da cognome, sapeva il mestiere. È anche, nonostante ora si sia stufato, per sua stessa ammissione, uno di quelli dotati di sensibilità sopraffina, che ci vedevano qualcosa di aberrante, nel mondo che ci siamo costruiti, e che supini, ci ostiniamo a portare avanti, quando la nostra ragione urla di no.
«In quel tempo, bramerete la morte, ma la morte vi fuggirà.»
Perché la punizione dantesca, l’aver creato un inferno per le nostre anime, dal quale è impossibile fuggire, è frutto dell’ironia sadica del nostro creatore, del quale siamo immagine. E, sapete come si dice, lo specchio rappresenta due mondi, tutti e due reali. Quindi Dio è nostra immagine a sua volta. Ce lo siamo inventati, modificandolo alla bisogna e ci siamo prostrati di fronte alla nostra creazione, beandoci di essere noi, la creazione.
Concordo, un discorso ateo, per uno che si professa credente. Eppure, la società che oggi mi trovo a vivere, sa davvero di illusione.
«A volte, quando guardo la TV, rivendico la mia identità. Mi sento improvvisamente l’eroina di una serie, o la conduttrice di uno spettacolo. Guardo le mie foto sui giornali, mentre scendo da una limousine… L’unica cosa che conta è diventare famosa. La gente mi guarda e mi adora. Io non invecchio mai, sono diventata immortale.»
Mi sento come Nada (Roddy Piper). Lo guardo mentre cammina per i sobborghi di Los Angeles, zaino in spalla, e mi ci rivedo. Viandante solitario. Non schiacciato dal sistema, che ho sempre rifiutato, ma espulso. Lasciato ai margini perché, in fondo, ritenuto innocuo. Innocuo io e il mio idealismo, il mio amore per l’arte, per l’armonia, per le cose belle.
In uno schema rigido, in cui il lavoratore deve essere inserito nell’organigramma, in qualità di ingranaggio per portare avanti il Moloch, io sono il pezzo non necessario. Per cui, sticazzi.
«Ci rendono schiavi delle forze oscure, della materia corporale. E con la vanità, l’ansia e l’indolenza ci anestetizzano la mente.»
Vanità, ansia e indolenza hanno anestetizzato la mente di molti. È la pura verità. Non occorrono prove, basta serbare ancora un briciolo di consapevolezza di sé e degli altri.
«La nostra natura umana si è lasciata sopraffare dalle istituzioni esistenti. Crediamo di essere ricchi e invece… siamo precipitati nell’abisso dell’aridità e della miseria, privandoci di ogni aspirazione, espressione e valore umano. Questi artifici ci mantengono in uno stato di banalità elevata, impedendoci di vedere la degradazione… e se continueremo a vegetare nella vigliaccheria, nella cecità e nel mutismo, sarà la fine.»
Ci siamo lasciati integrare, un po’ come ricevere un battesimo che dura tutta la vita, accettando lo stato delle cose perché l’avevano voluto i nostri padri. E le cose a quel tempo funzionavano, c’era ricchezza, il boom economico, la Cinquecento per tutti i lavoratori che d’estate affollavano le autostrade per trascorrere le vacanze al mare, nei posti dei vip. Senza sapere che tanto, i vip, quelli veri, avrebbero trovato paradisi sempre più esclusivi, lasciando lo schifo a tutti gli altri, che si sarebbero scannati per un ombrellone e una sdraio. Una tragedia annunciata. Eppure, è il sistema di vita di quelli che ci hanno preceduto. Deve andare bene per forza. O forse… forse è il caso di dire che davvero siamo stati cresciuti in uno stato di banalità elevata. E la banalità, si sa, è la morte del pensiero creativo.
Siamo sul Titanic. E l’acqua che ci circonda è ghiacciata, cazzo. Non c’è via d’uscita.
«Credo che se un secolo fa la gente avesse preso delle decisioni giuste, oggi… oggi il mondo sarebbe tutto diverso. Ma non è stato così e comunque, ormai è troppo tardi. Abbiamo esaurito tutto! Siamo un cumulo di rifiuti tossici e sono loro la nostra alternativa!»
Sono loro la nostra alternativa, i nuovi, vecchi governanti, che ci ostiniamo a seguire. I comici in TV, che ci fanno ridere, perché ridere è bello, toglie i pensieri. Mi chiedo, domanda retorica, se rinunciare a pensare è davvero la cosa che ci serve. Oche d’allevamento, siamo diventati, al servizio di pochi, un centinaio di persone che, statistiche alla mano, si spartiscono l’80% della ricchezza del pianeta.
E questo è un fatto, non è Essi vivono, non è un film.
E Carpenter l’aveva previsto, per filo e per segno, infilando questa violenta denuncia sociale dentro un B-Movie.
Le reazioni di oggi come allora? Eccole: “Lasciate perdere queste stronzate di fantascienza e pensate alle cose serie!”
Peccato che queste cose, le cose serie, non c’è rimasto più nessuno a sapere cosa siano per davvero. È come quando si imparava la lezione per l’interrogazione del giorno dopo. La spiattellavi lì, ti prendevi un 8 e non avevi capito un cazzo.
Che è la realtà come noi la conosciamo. Ci circonda.
Pensare fa male. Continuiamo a dormire. In fondo, va tutto bene…