Underground

Philip K. Dick e il loro “Road” Runner

Un paio di settimane fa parlavo di Blade Runner, il 2049, ne parlavo citando la celeberrima lettera di Dick.
Quella in cui si diceva entusiasta del risultato. Quella in cui diceva che si stava facendo la storia della fantascienza.
Che fantascienza non era.
Era letteratura. Era cinema.
Ho scoperto mio malgrado, ancora una volta, che la gente non legge, e di conseguenza non capisce. Perché di quell’articolo, alcune parole sono state fraintese.
Il perché lo sappiamo: ognuno si fa un’idea propria. Originale.

Dick, che aveva un gatto uguale al mio

Di ciò che legge, guarda, assorbe. E a quell’idea – personale – affianca e confronta le idee altrui, trovandole quasi sempre gracili.
Perché, lo sappiamo, Dick non è stato sempre entusiasta di Blade Runner.
Anzi, l’idea – comparata probabilmente alla propria – gli faceva storcere il naso.
Perché trarre un’opera da un’altra opera è un po’ come entrare nelle pantofole del proprietario, e deformarle.

Uno scritto è una cosa intima, sta lì, ci abbiamo versato sudore e crampi, ci abbiamo passato del tempo insieme, abbiamo perso diottrie per completarlo.
Ci sta.
Così come ci sta lo scazzo implicito, un po’ automatico, di Dick, anche solo all’idea che qualcun altro mettesse mano nei fatti suoi.
Chi ha il pelo sullo stomaco e un po’ di ironia direbbe pure che la causa dei malumori e dei continui mutamenti radicali dell’idea di Dick su Blade Runner dipendeva dalle sostanze che assumeva. Forse, o forse no. Non cambia niente.

Dick a Blade Runner lo chiamava Road Runner, come l’agognata preda di Wile Coyote, per capirci.

Era un’epoca favolosa, quella della scrittura e successiva realizzazione di Blade Runner.
O meglio, era il passato. E il passato era favoloso.
Perché, a leggere certi episodi che l’hanno caratterizzata, sale un po’ il magone; davvero appartengono a un tempo perduto.
E tanto di questa atmosfera vintage dipende dalla mancanza dei mezzi di comunicazione di massa.

Immaginate che qualcuno, un regista lì per lì diventato subito celebre (con I Duellanti e Alien) volesse incaricarsi del progetto, e che un giornalista, Paul Sammon, appassionato di fantascienza e di cinema, volesse proprio per questo motivo scriverne la cronaca, il making-of di questo film incredibile.
L’idea di trarne un film, dalla storia di Dick, risaliva a un paio di anni prima dei Duellanti, il 1975.
A scrivere la sceneggiatura di Blade Runner c’era Hampton Fancher.

Ecco, la storia. Quella che, quando ti scorre sotto il naso, non la riconosci.
L’altra epoca è quella in cui un autore, come nei film, poteva rendersi irreperibile. Oggi basterebbe un tweet all’account ufficiale di Dick. O un messaggio privato su facebook per trovarlo, ovunque fosse.
Nel ’75, se uno non voleva essere trovato, semplicemente spariva.

Un po’ come Sutter Caine, Dick sparì.
Nemmeno il suo agente sapeva dove fosse.
Poi, visto che Fancher non si arrendeva, arriva la storia. Di fronte all’ennesimo buco nell’acqua, Fancher esce dal palazzone della casa editrice di Dick e si sente chiamare, per strada.
Ripetutamente.
Era Ray Bradbury.
Solo che Fancher non lo riconosce. Non subito.
Lo prende per un passante che gli sta rivelando un segreto. Come nella più classica delle spy-story. Il passante che ti sussurra di avvicinarti, che, in cambio di una bevuta, ti dice, tra una sigaretta e l’altra, che il tuo uomo si nasconde in chissà quale baita sperduta sulle montagne, ché non ne può più della razza umana.
Solo che Bradbury non voleva bere, né fumare. Magari voleva che il film si facesse sul serio, o forse voleva solo rompere le scatole a Dick, rivelando dove fosse nascosto.

Non lo sapremo mai.

Sì, Bradbury sapeva. E diede a Fancher un numero di telefono.
Fancher telefonò e dall’altro capo rispose la voce di Dick.

Qualche anno dopo, iniziarono le riprese di “ROAD” Runner, tra malumori e scetticismo, e iniezioni di ottimismo. Un incipit alla Conan il Barbaro.
E poi, la storia…

E la storia ci dice che Dick assistette alla proiezione privata di BR, che gli piacque, che chiese persino dove avrebbe potuto trovare un’action figure di Deckard.

Forse, alla fine, l’idea tratta dalla sua idea gli era piaciuta. Superò lo scazzo, probabilmente. E poi, a qualche mese dal debutto nei cinema di Blade Runner, Dick morì, entrando nella storia prima ancora che il film tratto dalla germinazione della sua idea nelle pance altrui entrasse a sua volta nella storia, cambiando le copertine dei suoi romanzi.

Ma, come sempre, la storia diventa tale solo quando è trascorsa. E noi restiamo intrappolati nel presente, solleticando i nostri ricordi.

*

NB:
Il libro da cui ho tratto solo alcuni aneddoti e qualche spunto è Future Noir, di Paul M. Sammon

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