Underground

L’arte di sbattersene il cazzo

Devo ringraziare il mio amico Davide che, imperterrito, fa surf nella rete reperendo contenuti impossibili.
Come un video-conferenza di tale Sarah Knight, capo redattrice per quindici anni in una importante casa editrice di New York che, un giorno, ha deciso di sbattersene il cazzo.
Questo linguaggio è solo un riflesso di quello usato da Sarah Knight stessa, esso può urtare, ma centra perfettamente il punto. E lo scopo.
E lo scopo di sbattersene il cazzo è riguadagnare il controllo del proprio tempo. E della propria vita.
Sarah Knight è l’autrice di The Life-Changing Magic of Not Giving a F*ck and Get Your Sh*t Together. Che poi ho scoperto esistere anche in italiano. Cercatelo, se vi interessa.

Sarah Knight

E ditemi poi come si possa non amarla instantaneamente.

Ma attenzione, questo non è un articolo sul libro, o su Sarah Knight. È qualcosa che scaturisce dalle sue teorie. Che sono anche le mie, e di molti altri là fuori.

Sbattersene il cazzo delle trappole mentali jedi con cui la società, nella personificazione delle vostre conoscenze, tenta di intrappolare le vostre vite appare una dottrina assolutamente elementare.
Ovvia, nella sua semplicità.
Eppure, ciascuno di noi è stato indottrinato a pensare che ci sono cose che devono essere fatte, così, perché è d’uso comune, perché è buon gioco diplomatico farle, altrimenti si fa la figura degli stronzi.
Non vi è stato detto così?

Esatto. Riesco persino a vedere le vostre facce.

A quante feste, riunioni, occasioni inutili avete presenziato, anche se di queste non ve ne fregava nulla? Un sacco, ne sono convinto. Magari, ci siete invischiati proprio adesso. E sognate di essere altrove a coltivare piantine di erica, o a badare al vostro alveare da bravi apicultori.
Ecco, sarebbe bello, un giorno, che faceste come Sarah Knight, tornaste padroni del vostro tempo e che ve ne sbatteste il cazzo di fare ciò che ci si aspetta da voi.

Tutto perfetto.

Siamo perfettamente in grado di intuire l’assoluta opportunità di mettere in atto questo comportamento.
Fare solo quello che ci piace, calcolare il nostro fuck-budget (come lo chiama Sarah), i cazzi di cui non ce ne sbattiamo, e perseguire con ogni mezzo a nostra disposizione solo i nostri interessi, ciò che ci piace fare.

Sarebbe bellissimo.

Eppure, non siamo così ingenui da non capire, allo stesso tempo, che lo stesso patto sociale che abbiamo sottoscritto accettando di vivere in comunità ci impedisce una vita senza compromessi.
Ci è impossibile, per la nostra stessa natura, sbattercene il cazzo proprio di ogni cosa.

Ci si prova, diciamo. Meglio.

Questa filosofia, o principio di vita, la seguo da vent’anni, almeno.
Dal momento in cui ho deciso di sbattermene il cazzo e di non laurearmi in ingegneria, che pure mi avrebbe garantito un lavoro migliore, e di perseguire quelli che erano i miei interessi.
Il fatto è che, lo sapevo già allora, non sarei stato felice, studiando ingegneria.

Soddisfatto del mio presente (tra l’altro, cosa da ridere, faccio proprio quel lavoro da cui Sarah Knight è scappata, perché la rendeva infelice, l’editor – ma non a New York)?
Abbastanza, non sono pentito. Continuo a fare quello che voglio.
Continuo a combattere, ogni giorno, contro il pregiudizio della maggioranza, che vuole la mia – la nostra – vita scandita in tappe forzate:

làureati
trovati un lavoro
sposati
metti al mondo dei figli
cambia auto
fai delle vite dei tuoi figli la fotocopia della tua
Sentiti colpevole se non hai rispettato uno o più punti di questa lista

Ok, è proprio il caso di dire che me ne sbatto il cazzo.
E non perché abbia un’avversione per questo genere di argomenti. Ma perché ho sempre pensato che le cose non devono essere vissute a tappe forzate verso la fine inevitabile.
Non è vita, questa.

Ma, senza sprofondare nell’esistenzialismo, senza andare a toccare la propria vita e il proprio destino, e tenendo presente che c’è sempre gente che non ha scelta alcuna, nemmeno può scegliere di sbattersene il cazzo, diciamo che è sempre cosa buona e giusta il perseguire nei limiti del possibile ciò che ci fa stare bene, senza pentirci e senza rinunciare al poco tempo che abbiamo per stare appresso a cose di cui non ce ne frega nulla.

Il blogging, ad esempio. Ormai ho pochissimo tempo per tenere aggiornati questo e altri due siti. Il tempo che mi resta lo suddivido in:

– lavoro (o ricerca di)
– scrittura
– svago
– varie & eventuali

E il tempo per lo svago, credetemi, è davvero poco. Pochissimo.
Questo comporta delle scelte.
Scelte che devono essere fatte per sopravvivere, e per trascorrere degnamente il proprio tempo a disposizione.

Anni fa ero parte attiva della blogosfera. Forse, qualcuno di voi lo ricorda. Lo ero perché volevo esserlo. Ci ho creduto, i primi cinque anni, a una blogosfera fatta di talenti spontanei, anarchici, meravigliosi.
Poi ho capito che la maggior parte della gente che la popola applica il do ut des, lo scambio reciproco riconosciuto come unico metodo accettabile.
Se non scambi non sei niente, non ti riconoscono il diritto a esistere.
Sei, anzi, uno stronzo che si crede chissà chi.

E ciò, naturalmente, è applicabile in quasi tutti gli altri campi di aggregazione sociale. Soprattutto in ambito lavorativo, dove, in un contesto alimentato da appassionati e addetti ai lavori (spesso tutt’e due le cose insieme), se non ti interessi agli altri non avrai alcun interesse di ritorno. Non importa quanto tu valga. Il valore non c’entra in queste cose. (cit.)

Bene, sono anni che ho deciso di sbattermene il cazzo, e di vivere il mio tempo come piace a me. Frequentare i posti reali e virtuali che mi piaccono, soprattutto quando e come voglio, senza doveri o obblighi.
Mi sono pentito dell’isolamento sociale che è seguito a questa mia scelta?
Mai.
La rifarei cento volte.
Anche perché è stato e continua a essere, l’essermene sbattuto il cazzo, irrinunciabile atto di scrematura.
Coloro che mi sono restati intorno sono quelli a cui interesso sul serio, per i quali frequentarmi non è un peso, che hanno piacere a starmi vicino e a leggere ciò che scrivo. Nessun vampiro psichico, da queste parti.

Il tempo che viviamo è solo nostro. E il nostro potere è scegliere come viverlo, finché è possibile. Finché – speriamo mai – la facoltà di scelta non ci sarà portata via.

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