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L’Acqua della memoria – una (breve) rilettura di IT

Partiamo dall’assunto che IT di Stephen King, oltre che essere un romanzo di formazione dell’orrore, sguazzi nel simbolismo.
È importante per basare la pretesa di sovrinterpretazione.
IT può essere interpretato, quindi, al di là della storia di ragazzini diventati adulti che si scontrano con un mostro dell’altrove?
Possibile.
Anzi, più il testo assume le dimensioni di un classico, col passare del tempo, più dovrebbe essere analizzato e nella struttura originale e nell’effetto che esso (it, già) ha procurato impattando nella società.

Stiamo parlando di un libro che dal 1986 ha influito sull’immaginario collettivo.
It, ci piaccia o meno, ha contribuito a strutturare la nostra società coeva. Non foss’altro per il film attuale, l’ultimo episodio in ordine di tempo, ma naturalmente non è solo questione di film.
C’è soprattutto un equivoco relativamente al titolo, che poi ha contribuito, specie negli altri paesi, specie in Italia, a spostare l’attenzione sul mostro, il cui pronome è diventato nome proprio, identificato a torto con il clown.

Quindi vorrei cominciare partendo proprio dal pronome. In inglese, i ragazzini protagonisti del film il mostro non lo nominano (quasi) mai, per tre fattori:

– non ha forma. O meglio, forse ha tutte le forme e nessuna.
– non ha nome.
– e Pennywise è solo il nome di uno tra i molteplici aspetti

È lui (it) che perseguita i loro ricordi. Lui, per intero, come una piena inarrestabile.
Il protagonista del romanzo quindi è un essere non identificato che, proprio in quanto tale, perde la sua struttura per divenire simbolo.
Il simbolo, forse, del dolore, del passato, del cambiamento.

Perché non si deve dimenticare un aspetto fondamentale: i ragazzini protagonisti, Bill, Beverly, Ben, Richie, Stan, Eddie e Mike sono memorie. Non sono reali, non sono contemporanei. Sono fantasmi di eventi già accaduti. Nel momento in cui leggiamo le loro avventure, essi non esistono già da 27 anni.
I veri Bill, Beverly, Ben, Richie, Stan, Eddie e Mike sono dei quarantenni afflitti dai ricordi. O che si riscoprono afflitti, pesantemente, dal loro passato.
La vita li ha traumatizzati. Sono sopravvissuti, ma sono segnati.
Non c’è oblio. Anzi, il fiume, l’acqua che anticamente forniva la sospirata beatitudine della dimenticanza, attraverso il Lete, ha qui funzione opposta.
Nella poetica kinghiana la memoria è un impianto fognario il cui filtro è intasato dalle brutture che non sono riuscite a scorrere via.
Non come ha fatto la barchetta di George.

Il passato ha accompagnato i protagonisti nella transizione verso l’adolescenza e ritorna a perseguitarli nel presente, quando ormai sono adulti e la loro vita ha imboccato una strada ben precisa.

Il personaggio occulto che sottende al romanzo intero e che sottolinea l’ossessione e il dolore dei protagonisti, incarnata da esso, è l’acqua.

Pensateci, il romanzo inizia sotto la pioggia, la pioggia che si porta via la barchetta di George. L’acqua che ha devastato le strade di Derry e ha messo a dura prova l’impianto fognario.
Pescare i ricordi dall’abisso della memoria, quasi vuol dire tirarli fuori da acque reflue.
Guardacaso, It, in una delle prime incarnazioni, si mostra come il Mostro della Laguna Nera, che è il primo film di cui Stephen King ha memoria. Una creatura, il Gill Man, che viene fuori dall’acqua a rappresentare un passato ancestrale.
Un superstite di ere dimenticate.

Pennywise stesso dimora nell’acqua, sotto il ponte dei baci, e nell’acqua sporca come la storia di Derry stessa delle fogne.
Esce attraverso lavandini, docce.
Nel film non si vede, ma i protagonisti si conoscono nei Barren, e sedimentano la loro amicizia con l’idea di costruire una diga, una struttura che limiti, non arresti, ma limiti il flusso inarrestabile dell’acqua, che dal quel giorno non farà altro che travolgerli. Come la memoria.
Plic…
Plic…
Plic…
Stan muore nell’acqua della sua vasca, incapace di fare i conti col proprio passato.

È come addentrarsi nelle fogne della mente: che sì, è una metafora rude e anche ridanciana, può suscitare ilarità, ma essa si riferisce all’idea di rimestare nel torbido dei ricordi, delle illusioni, delle speranze disattese, dei desideri oscuri, che tutti proviamo una volta o l’altra.

Ogni cambiamento, ogni ferita che la vita ci assesta, ce la scrolliamo di dosso e ci illudiamo che essa ci lasci per sempre (esattamente come i ragazzini che si sono dimenticati di It), ma queste cicatrici non ci abbandonano mai del tutto, restano come pietre sotto la superficie cheta dell’acqua, lontane, invisibili, ma presenti. Proprio come le acque reflue, che convolano tutte in un punto, la dimora di IT, che è proporzionalmente forte e imbattibile tanto quanto noi stessi gli consentiamo di essere, facendoci sopraffare dalle nostre paure.

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