La Stanza Bianca

Quella maschera da coniglio

«Stavo passeggiando quando sentii una voce dire “Buonasera, signor Dowd!”. Allora mi voltai e c’era questo grande coniglio bianco appoggiato a un lampione. Non ci vidi nulla di strano perché quando uno ha vissuto in una città quanto ho vissuto io in questa, si fa l’abitudine al fatto che tutti conoscano il tuo nome.»

E anche al fatto che, magari, questo coniglio ti riveli, con precisione assoluta, quanto manca alla fine del mondo.

28 giorni.
6 ore.
42 minuti.
12 secondi.
Che, lo sappiamo, è la fine di Donnie Darko.
Che in realtà è già finito.
Ma non in quell’universo.

Quasi una teoria delle stringhe. Quasi.
O un tentativo di suggerire che, forse, il tempo ce lo costruiamo noi e che tutto quello che ci sta intorno sono attimi di coscienza altrui, che non devono in alcun modo influenzarci.

Donnie Darko…

Mi ritrovo a pensare che, oggi, non c’è più posto per film così.
Ma forse non è vero.
Forse il posto c’è. È che è talmente piccolo da rivaleggiare con la porticina che porta al Paese delle Meraviglie.

Perché un film come Donnie Darko non può più esistere, non ufficialmente.
Donnie Darko si permette il lusso di fornire sempre nuove interpretazioni, ormai a distanza di sedici anni dalla sua comparsa.
Molteplici livelli di lettura e di interpretazione, tutti solennemente rigettati ufficialmente da chi l’ha concepito e realizzato.
Ci ho provato anche io. Un po’ di tempo fa, qui.

E oggi, mentre sfogliavo la home di facebook, ho trovato una foto postata dal mio amico Marco: si tratta di James Stewart insieme al suo amico Harvey.
Un uomo vestito da coniglio.
Immaginario.
O forse no.
Anche questo coniglio si fa incontrare per strana, parla con voci sconosciute di cose sconosciute. E meravigliose.

E sì, in effetti James è come Donnie.

C’è chi lo prende per pazzo, James.
C’è chi prende per pazzo Donnie.

Ecco, stamane mi sono rivisto adolescente, e mi sono ricordato quanto sia difficile e, allo stesso tempo, incompleto, quel periodo.
Si è vivi, ma non si ha piena coscienza di esserlo, del perché, di cosa comporteranno, in termini di vita futura, le scelte del presente.
Persino se il motore di un jet dovesse precipitare sulla nostra casa e sfondare la nostra camera.

Mi rifugiavo nei libri, in quel periodo. Libri già letti da altri in altre epoche. E li scoprivo di nuovo, in un certo senso li creavo di nuovo, sembravano soltanto miei, come li avessi scoperti io.
E, al di fuori di quelle letture, c’era il resto del mondo: gli amici, le ragazze che mi piacevano e alle quali, forse, piacevo anche io. Solo che, c’era troppa confusione, troppa agitazione, tutta intorno, in famiglia, perché potessi accorgermene.
La vita aveva, per me, in serbo molte e sgradite sorprese. Avrebbe preteso tutte le attenzioni che avrei potuto darle. E anche quelle che non avrei potuto.

E, quando la vita si placava e mi lasciava in pace, e finalmente riuscivo a scacciar via la confusione, tornavo a rifugiarmi nei libri e nei film.
E un film come Donnie Darko, già solo il titolo e un vago accenno di trama reperito sulle riviste o su qualche magazine settimanale televisivo, era capace di creare aspettativa.
Il mistero generato da questo film confuso creava ansia e attrattiva.
Ognuno di noi l’avrebbe guardato e l’avrebbe fatto proprio, quel film.
Si sarebbe rivisto nel disagio di Donnie, nella confusione, e nell’unica certezza: una data.
Suggerita da un uomo vestito da coniglio.
O forse era Donnie a essere vestito – ridicolmente – da uomo?

Stamattina ho rivisto alcune scene sul tubo. La cosa dell’adolescenza, del rivedermi ragazzo nel rivedere Donnie messo sul suo letto a leggere l’ho maturata solo stamattina. Nella sua espressione ho rivisto la mia.
Seccata da tutto, dalla vita stessa. Sì, direi che era questo lo stato delle cose.

Al posto di Donnie ci sono io, che guardo la mia vita che segue la sua linea tracciata ormai una quarantina d’anni fa. Le mie scelte, gli imprevisti, ogni cosa mi ha portato fino a qui.
E non è una brutta vita. Anzi.
È solo… diversa. Completamente diversa da come l’aspettavo.
Alla fine, possiamo solo essere sempre presenti a noi stessi, sederci sopra a un’altura e guardare il panorama, come fa Donnie, e goderci il momento.

La scadenza di quei ventotto giorni, sei ore, quarantadue minuti e dodici secondi è relativa.
Forse, da qualche parte, quel tempo è già finito.

Mi mancano i conigli bianchi accanto ai lampioni.
Mi mancano i vari Donnie Darko.
Mi manca un certo modo di narrare, che mi appassionava tanto.

Ma forse tutto questo è ancora lì, sepolto dalla cacofonia della maggioranza.

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