Libri

I Vermi Conquistatori

Ogni tanto devo ricordarmi che so leggere, e che nelle Lettere ci sono pure laureato, anche se, da sempre, sono il tipo che dei titoli (di studio) se ne fotte. Leggo poco, ma leggo bene.
l problema è questo: c’è così poco da leggere.
E allora ascolto un’amica (tu lo sai chi sei) e acquisto I Vermi Conquistatori, edito da Edizioni XII. Un libro attorno al quale sapevo aveva gironzolato tanta gente attorno a cui, negli ultimi due anni, ho gironzolato io. E questo non c’entra un tubo, davvero, con la storia, ma è giusto dirlo. Per citarne due, Simone Corà, che ha partecipato alla revisione finale, e Matteo Poropat, che ha impaginato questo libro e ha impaginato pure il mio, che il risultato sia verosimile (Mettiu sa perché) o meno.
Brian Keene, chi era costui? Francamente, me ne infischio. L’autore non mi interessa. Non m’è mai interessato sapere chi sia o cosa abbia fatto per arrivare fino a qui. Ciò che conta è il libro, solo lui.
Una storia buona, quella de I Vermi, tanto da riuscire a essere letta in treno, tra una scodata dei vagoni e l’altra, tra il casino dei viaggiatori con la vescica piccola che si muovono negli stretti corridoi di compensato e linoleum e quelli che russano stravaccati sui sedili in finta-pelle traboccante agenti patogeni.
Le sole cose che odio di questo libro sono le frasi da fascetta kinghiana riportate in quarta di copertina, che fanno ridere le esche vive, su tutte quella di CNN.com, “Elettrizzante… tenete le luci accese!” e la musica country che, senza girarci intorno, detesto tanto quanto il protagonista, Teddy Garnett, ama.
Per cui per godermelo ho dovuto metterlo a tacere. Un paradosso, per me che con la musica scrivo.

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Ed è, la storia, quella della fine del mondo. Una fine che arriva dall’alto. Dai nuvoloni gravidi di pioggia infinita. Quarantuno giorni di pioggia e il mondo è ormai sommerso, con le cime delle montagne divenute isolette nel mezzo della vastità del nulla. E la vastità, come d’obbligo, evoca creature mitiche e colossali…
Teddy è un vecchio, sull’ottantina, scampato alla guerra e sopravvissuto, destino beffardo, all’apocalisse. Oppure è un eletto, uno che delle cose, di come si stanno svolgendo, ha un punto di vista privilegiato, tanto che è spinto, lui, uomo senza titoli ma colto, a scriverne, per dare una testimonianza di ciò che il pianeta è diventato. Testimone del diluvio universale.
E con un stile semplice, tale da rispecchiare l’estrazione del personaggio, Keene ci presenta questa storia acquosa e viscida, bianchiccia e puzzolente, come le creature che vivono nel sottosuolo e che qualcosa spinge a tornare in superficie per incontrare quella che era, fino a pochi giorni prima, la razza dominante.

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Ma il punto di vista appartiene al vecchio Teddy. Solo, chiuso nella sua casa marcescente per il troppo umido, sotto l’interminabile pioggia scrosciante, assediato dai bisogni, tabacco in primis, dagli scarni ricordi della defunta moglie e dall’oscurità densa e melmosa che cinge d’assedio la terra, sprovvista ormai di luci artificiali.
Teddy è una voce interessante, pulita quanto basta, anche se non gradisco certe chiusure di capitolo affidate ai puntini di sospensione e a frasi smozzicate che presagiscono l’ovvio, come il vizio di Carl.
La verità dei vermi, la loro esistenza vengono fuori gradualmente, secondo la mole e in maniera inversamente proporzionale alla quantità dei nemici mostruosi da fronteggiare.
E tuttavia, questo mondo ricco di fascino e e colore e odori, sa essere disperato sulla carta, senza riuscire a esserlo a livello emotivo. Il vecchio è debole, sofferente di cuore e intirizzito dal freddo e dalla paura, e il lettore resta lì, impassibile, incuriosito più dalle guizzanti forme cilindriche che si muovono sotto le assi del pavimento, che dal partecipare alle disavventure e disillusioni dei residui della razza umana.

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[allarme anticipazioni]

Si sta tra la bambagia, a leggere di vermi, creature mitiche e gargatuesche e la magia avviene. A un tratto, il motivo per il quale il mondo è andato a puttane non interessa più. Sono i mostri quelli che si vogliono incontrare; che divorino i personaggi in uno solo boccone o meno, non importa proprio. Sono i mostri le star indiscusse.
Narrato in prima persona, in un passato remoto che, trattandosi, per la maggior parte, di eventi verificatisi pochi giorni addietro, sta un po’ troppo stretto (per non dire obsoleto, da museo delle cere), I Vermi conosce, alla metà del libro, un lunghissimo (pari a un terzo dell’intero volume) excursus, nella finzione redatto da Teddy, ma testimonianza, sempre in prima persona, di un altro dei protagonisti, il giovane Kevin, che, insieme alla sua amica Sarah, fornisce una visione metropolitana di un’apocalisse che, fosse restata circoscritta solo al piccolo villaggio di Garnett, Punkin’ Center, sarebbe stata rurale. Excursus intrigante, per la follia fantastica degli avvenimenti narrati, così inverosimili da ricordarmi, in certi momenti, le vette di Lansdale e del suo Drive-In, ma che, per com’è concepito, non può fare a meno di risultare posticcio, incastonato a forza in una trama che voleva il libro lungo centro pagine in meno. Però la Sirena, creatura ammaliatrice che chiama i bambini a pericolosi tuffi nel mare impetuoso, è una delle figure più inquietanti che abbia mai incontrato. Credetemi, fa strizzare. E poi c’è quella frase: “Quello è il fottuto Cthulhu, amico.” che ti ripaga dell’attesa con una sghignazzata epica quanto la morte di Lori.

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Natura che si ribella all’uomo o che semplicemente ristabilisce, ciclica, l’ordine naturale delle cose, rimpiazzandolo. Non importa, né ai protagonisti, né a Keene, né ai lettori, di colpo affezionatisi a questo nuovo mondo fatto di grattacieli sommersi, di apocalissi bibliche divenute realtà, di impermeabili per ripararsi dalla pioggia e di mostri che predano spuntando dal basso, che in basso ci sia la terra o l’acqua, con una piccola virata nella magia nera e nel satanismo, come tutte quelle incomprensibili parentesi isolane, fatte di zolfo e tante cose non proprio giuste, come i morti che resuscitano e si mettono a cantare strane formule propiziatorie per la venuta di qualcos’altro, talmente grande che la mente non lo può comprendere.
I mostri, anche quelli marini, popolano amabimente il nostro subconscio fantastico. La vita, grazie a loro e a Keene, non è così monotona.
Alta immersività, in conclusione. E qualche ora di piacevole lettura. Cosa rara.

I, III e V immagine a cura di Diramazioni

Bonus track (ok, è Johnny Cash, ma soprattutto sono i NIИ)

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  • […] ridereste di certo – Brian Keene! Infatti è sui suoi Vermi conquistatori la recensione di questa settimana su Book and Negative. Ripenso a ciò che disse Vipera riguardo i veri […]

  • […] nei miei panni non ridereste di certo – Brian Keene! Infatti è sui suoi Vermi conquistatori la recensione di questa settimana su Book and Negative. Ripenso a ciò che disse Vipera riguardo i veri abitatori […]

  • Il “conuntry” però devi provarlo, è a base di noci di cocco… ha ha ha!

    • Ah, quello intendevi!? Io credevo il Country! 😛

    • 13 anni ago

    Non gradisco la musica country ma l’associazione al romanzo non mi sembra sbagliata. Diciamo che fa parte dello scenario.

    • Eh ma infatti non ho detto che sia sbagliata. Solo che non mi piace. 🙂

  • Non ti piace il conuntry?!? O_O
    E dire che te l’avevo consigliato anche in quanto romanzo musicale, mannaggia. 🙂
    Contenta che nel complesso ti sia piaciuto…
    … e mitico Cash.

    • Ehm… no, mai piaciuto. Associato all’apocalisse, poi, lo trovo stonato. 🙂
      Grazie a te per avermi convinto.
      😉

  • ahahah 🙂

  • Ehi, che bella rece:-)

    • Se vuoi tolgo qualche parte, così diventa brutta. 😀

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