Libri

Conan, di Robert E. Howard

A volte ritornano e altre amenità. Una sublime ricapitolazione. Chiamatela come volete, ma certe cose, anche semplicemente a ricordarle non fanno mai male.

robert e. howard
Robert E. Howard

Da qualche parte mi sembra di aver letto che Robert E. Howard, il papà del barbaro Conan, di Kull di Valusia, di Solomon Kane lo spadaccino puritano, nonché amico di penna di H.P. Lovecraft è, o è da considerarsi, il vero fondatore dell’heroic fantasy, tale assunto implica che da altre parti egli non gode di questa considerazione. La prima opinione, quella che lo sia, è confermata da Wikipedia e non solo, scopro solo ora, dalla medesima pagina, che nel 1996 un a me sconosciuto regista, tale Dan Ireland c’ha fatto pure un film, su di lui, con Vincent d’Onofrio (il soldato Palla di Lardo di Full Metal Jacket) come interprete.

Film a parte, sinceramente a me non interessa di cosa Howard fu fondatore e se lo fu, l’unica cosa che mi interessa e che mi spinge a parlarne ancora è la bellezza dei suoi racconti, pura e semplice. Il ciclo di Conan in particolare. Non ho bisogno di altre motivazioni. Ed è quello che vado a esporre.

In un’ambientazione fantastica concepita come una storia dell’evoluzione ineluttabile dell’uomo verso la barbarie, e tenendo sempre presenti, ed esaltandole, le proprie origini celtiche, Robert E. Howard (1906-1936) colloca le gesta del barbaro Conan, suo alter-ego, migliorato nel fisico, dei difetti che il “vivere civile” aveva imposto al suo creatore.
Robert Howard era un uomo alto e imponente (sul metro e novanta), e alla stessa maniera immaginava Conan, dalla Cimmeria, una landa barbarica, montuosa e fredda di un continente antichissimo dove si svolge la sua vita. Una vita descritta in una serie di racconti brevi, autoconclusivi, dove la fantasia sfrenata dell’autore lo precipita in furibonde lotte contro mali ancestrali, stregoni, eserciti avversari e rivali di ogni sorta assetati di sangue e potere, per salvare splendide fanciulle, per distruggere osceni culti e per tentare di arraffare immensi tesori.
Quasi mai Conan è dalla parte del “bene”, egli è, di volta in volta, capo dei pirati, comandante dei kozaki, un esercito ribelle e saccheggiatore, mercenario al soldo di qualche re straniero oppure semplice ladro alla ricerca di un facile bottino; questo perché Howard riteneva la “barbarie” del suo eroe pura manifestazione del “naturalismo” che percorre ogni sua pagina, contrapposto alla decadenza e corruzione della cosiddetta “società civile”.
In sostanza ogni cosa che Conan fa, la fa perché segue la propria natura e per questo egli è costretto, in ogni sua avventura, a scontrarsi violentemente contro nemici in carne e ossa, contro magie infernali e contro le convenzioni del mondo in cui vive e che egli rifiuta con tutte le sue forze preferendo restare ai margini, indomabile.
Come ho detto, Conan è la rappresentazione cartacea del suo autore, solo che, laddove il barbaro, pur sconfitto, continua la sua lotta incessante, l’uomo, lo scrittore cede ai suoi incubi e al suo disagio, ponendo fine alla sua vita a soli trent’anni, lasciandoci un’eredità narrativa che ha condizionato un
genere letterario durante tutto il novecento, generando imitatori di ogni sorta, che ha ispirato fumetti e film e che fa parte, ancora oggi, dell’immaginario collettivo.

conan di j. buscema
Conan nell'interpretazione di John Buscema in una tavola di "The Savage Sword of Conan" (si noti la voluta somiglianza tra il volto del disegno e la fotografia di Howard)

Leggere Conan serve a riconciliarsi con la letteratura fantastica, poiché serba quella purezza d’intenti tanto cara al suo autore. E per chi, come me, non ne può più di elfi filosofi e immortali dalle orecchie a punta, di nani ubriaconi e dalla battuta facile, di romanticismo esasperato e di maghi bianchi post-candeggio del tipo “indovina chi è più bianco?”, un’avventura sul “filo della lama” insanguinata di Conan è proprio un toccasana.

  • Che mi hai ascoltato per caso?
    Howard è l’unico autore, infognato nel ghetto del fantasy, che abbia mai letto e che mi sia mai piaciuto!
    Colgo l’occasione per riportare un brano, tanto per dare un’idea del suo stile Cuore & Acciaio:

    “Conan […] non fece alcun movimento per scappare. Spostata la scimitarra rosseggiante nella sinistra, estrasse la grande lama a mezzaluna degli yuetshi. Il mostro torreggiava su di lui, le braccia sollevate come un maglio, ma nell’attimo in cui la lama captò il riflesso del sole il gigante indietreggiò di colpo.
    Ma ormai il sangue di Conan si era acceso. Si avventò menando colpi con il pugnale. La lama non si spaccò, ma sotto la sua punta il cupo corpo di metallo di Khosatral cedette come normale carne sotto una mannaia. Dallo squarcio profondo fuoriuscì uno strano icore e Khosatral lanciò un urlo simile al rintocco funebre di una grande campana. Le sue terribili braccia ricaddero giù, ma Conan, più veloce degli arcieri che erano morti sotto i colpi tremendi di quelle orribili mazze, le evitò affondando ripetutamente il coltello. Khosatral barcollò e ondeggiò, le sue urla mostruose riempivano il cielo come se il metallo esprimesse dolore, come se il ferro urlasse e ululasse nel tormento.
    Poi si allontanò barcollando e si addentrò nella foresta; procedeva con passo traballante travolgendo i cespugli e facendo crollare gli alberi. Eppure, anche se lo aveva seguito con la velocità della furia scatenata, quando Conan riuscì a raggiungerlo le mura e le torri di Dagon erano comparse alla sua vista.
    Khosatral si girò di nuovo agitando le braccia nel tentativo di menar colpi disperati ma il barbaro, acceso da un’ira indomabile, non poteva più essere fermato. Come una pantera che si avventava sull’alce braccata, si gettò sotto le braccia che si agitavano alla cieca e cacciò la lama fino all’elsa nel punto in cui gli esseri umani hanno il cuore.” tratto da “Il Demone di Ferro (The Devil in Iron)”, 1934, traduzione in italiano a cura di Diana Georgiacodis e Lidia Lax

    Ecco. A mio parere non un capolavoro, in più ci sono numerose sbavature, però… non dirmi che non riesci a vedere il gigante di ferro le cui urla di dolore sono simili a rintocchi di una campana.

    Di Howard apprezzo soprattutto questo, la sua capacità di esprimere la forza del suo eroe attraverso i suoi scritti che, per molti altri versi risentono, putroppo, di molta ingenuità. Come ad esempio nelle battute finali di alcuni dei suoi racconti, più o meno uguali se non nella forma, nelle circostanze:

    “La risata di lui si levò al di sopra dello sbattere fragoroso delle vele mentre la sollevava tra le braccia poderose e le piantava un bacio sulle labbra rosse con uno schiocco sonoro.” da Lo stagno dei Neri (The Pool of the Black Ones), 1933

    “Con una selvaggia risata la sollevò avvicinandosela alle labbra avide.” da Ombre al Chiaro di Luna (Shadows in the Moonlight), 1934

    “Ma lui continuò a ridere sonoramente […]. Conan la domò senza fatica e bevve il nettare delle sue labbra […]” da “Il Demone di Ferro (The Devil in Iron)”, 1934

    Sarà che erano gli anni trenta e che non si potevano pubblicare certe cose, però…
    Ma , in fondo, chi se ne frega? A me continua a piacere, pur con i suoi difetti. Conan, almeno non è un elfo, ma un ubriacone sempre pronto a divertirsi stampando baci a destra e a manca e a tagliare teste di nemici giganteschi. Che si può volere di più?

    Mi rimane solo una domanda:
    Come mai al Marchese del Grillo è permessa la decapitazione e a Conan il GARBARO (con la G!) no? 😀