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Ombre al Chiaro di Luna

L’isola, intesa come microcosmo separato dal resto del mondo conosciuto [tema carissimo a Bob Howard], con le proprie leggi, la propria sospensione di realtà, i propri custodi di misteri ancestrali sepolti e dimenticati, è ambiente perfetto per narrare un’avventura fantastica. Senza andare a scomodare la storia, basti pensare a quanto ancora sia vivo e vegeto il mito del continente perduto, oppure alla ben nota serie ambientata su un’isola ineffabile, conclusasi di recente con il suo strascico di giudizi contrastanti.
Il mare di Vilayet è un mare interno dell’immaginario continente hyboriano. In esso sorgono decine di piccole isole recanti spoglie vestigia di ere perdute.
Scenario lussureggiante e tropicale nel quale i possenti muscoli del barbaro possano scatenarsi ancora una volta per affrontare nemici selvaggi e terrificanti.
La purezza e la gratuità con le quali questi scontri mortali avvenivano nella mente di Howard mi ricorda sempre quel “conflitto tra libertà opposte”, concetto parafrasato da studi filosofici e che si può riassumere in poche parole nell’assunto che si è liberi finché non si incontra [e ci si scontra con] la libertà di qualcun altro. A quel punto, solo la più forte e, perché no, anche la più furba, ha la meglio e continua ad esercitarsi. La perdente, di solito, diventa niente.

***

La libertà di Conan, animata dalla sua spinta vitale impareggiabile, è condannata a combattere e a vincere.
Nulla di strano e di scontato in questo. Le sue storie sono perfette proprio per questo motivo.
Secondo appuntamento con Conan il Cimmero dello scrittore texano Robert Ervin Howard. Ombre al Chiaro di Luna (Shadows in the Moonlight) è apparso sulle pagine di Weird Tales nel lontano 1934. E giunge ai miei occhi nostalgici e ai vostri, serbando intatto tutto il suo vigore espressivo.
Non mi interessa fare un esame critico della scrittura howardiana, perché non posseggo i testi originali, ma solo traduzioni in lingua italiana, per cui mi è impossibile dire se gli errori [alcuni molto banali] che ravviso nel testo siano da imputare a Bob o ai suoi traduttori, e poi perché non sento di poter aggiungere nulla rispetto agli innumerevoli studi di quel tipo che è possibile reperire in rete, sui siti specializzati, o in libreria. E, infine, perché non è mia intenzione scrivere articoli di questo tipo.
Quello che mi preme comunicarvi sono le sensazioni che traggo dalla lettura di questi racconti.

***

[da qui in poi ci può essere qualche anticipazione]

Il sole calò come una palla di rame opaco in un lago infuocato. L’azzurro del mare si fuse con quello del cielo ed entrambi divennero come un soffice velluto scuro punteggiato dalle stelle e dai loro riflessi. Olivia si distese nella barca che rollava dolcemente, le pareva di vivere un sogno irreale. Era come se stesse fluttuando sospesa nell’aria, con le stelle sopra e sotto di sé.

Con questa immagine classica, che i nuovi puristi della forma potrebbero trovare stucchevole, ma che io al contrario giudico piena di vigore, assistiamo al viaggio, fisico e simbolico, di Olivia, ennesima Conan-girl, che sfuggita alla civilizzazione, che la voleva schiava in un harem turaniano a subire ogni sorta di umiliazione sessuale, si ritrova in compagnia del barbaro Conan e della purezza insita nella sua natura selvaggia. Conan ha da poco massacrato il padrone di quest’ultima in un fitto intrico di canne e paludi, macellandolo, letteralmente, con la sua spada, del tutto incurante del fatto che lei stesse per essere violentata e del futuro di quella, inseguendo solo la sua vendetta verso quel nobile che, in battaglia campale, aveva annientato la milizia di saccheggiatori di cui il barbaro era fiero appartenente.
Olivia, tra lo scegliere un destino di tortura e morte e diventare la compagna del brutale cimmero, non ha esitato un attimo ed è subito salita sulla barca di questi, dirigendosi verso l’ignoto.
Sfuggire ai rispettivi inseguitori, infatti, conduce entrambi verso una sperduta isola nel mare interno di Vilayet.

***

E qui, nel folto della boscaglia, una giungla talmente intricata da aver formato un tetto verde di liane, rami e foglie, un arcano pappagallo pronuncia, imitandole, parole sconosciute, dal suono profetico:

“Yagkoolan yok tha, xuthalla!”

La creatura non è cosciente di ciò che dice, anche se Conan la pensa diversamente, a causa della sua superstizione, ravvisando negl scuri occhi dell’animale una sfumatura di malvagità latente e saggia. Il pappagallo, come l’isola, è condannato a ripetere, eternamente, i fatti che stanno dietro un’orrenda e ancestrale  maledizione. Nel ventre di questo fazzoletto di terra, infatti, le rovine di un antico palazzo custodiscono una serie di statue che riproducono uomini di pelle nera, ma di fattezze sconosciute. Interessante, a questo punto, l’interrogativo di Conan, che prima ha stabilito che il pappagallo ha imitato parole umane udite chissà quando e ora, in presenza di tali statue inquietanti, si chiede, mentre prova inutilmente a romperne una, da quali uomini esse siano state copiate.

***

Lo straniero toccò il corpo inerte del giovane e le catene caddero. Sollevò il cadavere tra le braccia, poi, prima di voltarsi, passò uno sguardo pacato sulla fila silenziosa di figure nere e indicò la luna che luccicava attraverso le finestre. Ed esse capirono, quelle statue rigide e in attesa, che erano state uomini…

L’imitazione della natura e del male che ella ha compiuto attraverso gli atti nefandi di quegli strani uomini neri, sembra essere il leit-motiv di questo breve racconto. Come avessero ruoli da interpretare e, facendolo, dissimulassero la loro essenza, persino Conan, fiaccato da giorni trascorsi negli acquitrini, finge di essere più forte, più attento e più agile di quanto non sia. Egli lo fa a beneficio di Olivia, la sua compagna, che dal suo canto vuole apparire coraggiosa. Le statue fingono di essere tali, restando ad aspettare il momento in cui scatenare la propria furia. Ciò che è in agguato nella gungla che circonda le rovine, come unico elemento reale e diretto, resta però celato fino alla fine, nell’immancabile scontro con il barbaro. Il pappagallo, infine, finge di essere un demone saggio, ma esso è solo ciò che appare.

***

Ancora una volta, abbondanza di ingenuità howardiane nel finale del racconto, chiuso troppo in fretta col solito buonumore trionfante del barbaro che minaccia di andare a bruciare le brache di un qualche re hyboriano. Dopo essere scampato alla morte e essersi messo a capo di un manipolo di bucanieri, Conan, che qui dovrebbe avvicinarsi alla trentina, come il suo creatore, non ha nessuna intenzione di fermarsi a oziare. Olivia è solo un piacevole contorno, forte, ma destinata a sparire come tutte le altre. Nel destino del Cimmero, la corona ingioiellata di Aquilonia.
“Ombre al Chiaro di Luna” unisce il fascino dell’ambientazione esotica e tropicale, così distante dai paesaggi desertici del Texas, alla natura selvaggia a brutale, nel duello tra Conan e l’uomo-scimmia, e ancora il luogo vetusto, abbandonato, residuo di una civiltà corrotta dal quale ancora promana il male. Un male inteso e rappresentato secondo il più puro manicheismo, con i neri alti e dal viso grifagno a uccidere l’essere biondo, dalle fattezze angeliche e la pelle candida, incarnazione dell’innocenza. E tuttavia, questa contrapposizione che può apparirci banale, non solo è ben scritta, ma ancora oggi invidiabile nella trasparenza d’intenti fiabesca.

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Chiodi Rossi

Foto:
Copertina di Weird Tales dell’aprile del 1934.
Vignette tratte dai numeri 44, 46, 47 e 48 (dal luglio al novembre del 1990) di “CONAN – La Spada Selvaggia”, collana edita dalla ComicArt, realizzate da John Buscema e Alfredo Alcala, su testi di Roy Thomas.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
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  • Grazie Nick, è sempre un piacere conoscere altri appassionati dell’epoca d’oro di Weird Tales. Oltre a Studi Lovecraftiani, ti posso anticipare che sto preparando due grosse raccolte antologiche con inediti di Frank Belknap Long e Donald Wandrei, due grandissimi scrittori di WT da noi ancora poco conosciuti.

    Quanto a REH che “avvertiva la presenza” di Conan, ne parla lui stesso estesamente in alcune lettere scritte a Clark Ashton Smith, dove afferma che il personaggio si materializzò nella sua mente quasi per magia, soggiogando la sua volontà e “costringendolo” a scrivere le sue storie. I racconti uscivano di getto dalla macchina da scrivere, come per un impulso irrefrenabile, e REH non poteva fare a meno di picchiettare sui tasti. Perché la storia era già tutta lì, scritta nella sua mente, e premeva per essere messa per iscritto. Quasi ci fosse una presenza sovrannaturale che agiva per mezzo del corpo dello scrittore…
    Invero, è una cosa piuttosto curiosa questa. Se si analizza la cosa da un punto di vista “parapsicologico”, si potrebbe quasi parlare di transfert medianico o di scrittura automatica.

    In ogni modo, le lettere di REH che dicevo, dove lo scrittore parla della strana genesi di Conan, si trovano pubblicate nel libro THE CONAN GRIMOIRE (Mirage Press, 1972). Oggi è una rarità bibliografica, ma se a qualcuno servisse posso sempre fare fotocopie.

    Un saluto,

    pg

    • Bellissimi questi aneddoti! Ancor più se corrispondono al vero! Dunque Milius non mentiva, anche se come lo racconta lui, l’episodio sembra più un’allucinazione schizofrenica.
      A me piace pensare che Howard lo vedesse per davvero, dietro di lui…
      Quel libro può interessare e parecchio anche.

    • 14 anni ago

    Mi piace molto il senso dell’intervento di Pietro Guarriello.Per un appassionato del periodo di Weird Tales come me è sempre un piacere conoscere nuovi elementi(o nuove chiavi di lettura)sui “moschettieri” di quella rivista.Mi piace molto anche il lavoro che sta facendo sul materiale Lovecraftiano e quindi ne approfitto per ringraziarlo(sto cominciando a leggere Studi Lovecraftiani dopo un mio colpevolissimo ritardo)
    Sull’aneddoto di Howard che scriveva “avvertendo la presenza” di Conan,ricordo male o ne ha parlato Howard stesso in una delle sue lettere o mi sto confondendo?
    A questo punto mi sa che l’articolo su Howard sia non solo necessario ma doveroso-)

    • Non lo so, spero non sia una diceria…
      L’articolo vorrei tanto scriverlo, ma solo alle condizioni esposte sopra. 😉

    • 14 anni ago

    Bell’articolo, come sempre, e interessantissima discussione. Non posso aggiungere molto, però ti esorto a scriverlo quest’articolo su Howard.

    Due cose:

    1 – hai detto che non volevi aggiungere niente all’interpretazione dei racconti. Ma qualcosa di nuovo e interessante mi sembra che l’hai scovato, tipo l’aspetto dell’imitazione e della finzione generale dei protagonisti e dell’isola stessa

    2 – Che c’è di vero in quella storia, se non sbaglio da te citata nell’articolo su Conan film, che Howard vedeva dietro di sè il Cimmero che lo obbligava a scrivere?

    Grazie

    • A questo punto, mi rimbocco le maniche e vedo di fare un po’ di ricerche. 😉

      1) boh, in fin dei conti non so se la mia è una lettura originale. Magari qualcun altro è già arrivato dove sono arrivato io. Io però non lo so.

      2) quello è un aneddoto che racconta John Milius nel “making of” di Conan il Barbaro che se non sbaglio si intitola “Conan Unchained”. Milius dice, e a questo punto non credo se lo sia inventato, che Howard, di notte, avvertiva la presenza di Conan dietro di sé; arrivava anche a vederlo con la coda dell’occhio. Il Cimmero lo minacciava, brandendo un’enorme ascia, di continuare a scrivere le sue avventure, oppure l’avrebbe tranciato in due con la sua arma.
      Bob era un tipetto tranquillo, non c’è che dire…

      😉

  • Eccovi un dettaglio poco noto della vita privata di Bob Howard…

    REH attaccato morbosamente alla madre? Suicida perché questa stava modendo? Dicerie, al massimo.
    Volete sapere la verità? Eccola: REH si tolse la vita per una delusione amorosa, dopo che Novalyne Price, la sua “ragazza”, lo smollò per mettersi insieme a Tevis Clyde Smith (http://en.wikipedia.org/wiki/Tevis_Clyde_Smith?oldid=0) il suo migliore amico.
    REH aveva un senso dell’onore e dell’amicizia fortissimo, e non ha retto. Una personalità fragile dietro un corpo da gigante. Si è sentito tradito da tutti, da quella che considerava la sua “fidanzata”, dal suo migliore amico, dal mondo intero. Era solo, ora. E, sì, c’era anche sua madre che stava morendo. E’ stato troppo per lui.

    Complimenti, ottimo post.

    P.S.: Pare che questo racconto di REH sia stato ispirato dal film “King Kong”, uscito al cinema solo l’anno prima (1933). La Skull Island, con il suo scenario primordiale, il gorilla gigante… sono tutti elementi che ritroviamo nel racconto.

    • Benvenuto, Pietro. E grazie.
      Ottimo anche il tuo intervento. Hai capito perfettamente quello a cui mi riferivo, ovvero sorvolare sugli aneddoti più conosciuti e sui quali si è romanzato parecchio, per forza di cose, e andare a scovare particolari rari o poco noti. Credo che pochi scrittori abbiano riversato la loro esperienza (o mancanza di esperienza) di vita nei loro scritti come Howard. Ed è proprio quest’aspetto che voglio approfondire.
      Tuttavia, sui motivi per cui l’abbia chiusa lì, nel mezzo del deserto, credo che probabilmente nessuno lo saprà mai con certezza. E, aggiungo, non è necessario saperlo.
      È che mi domando, come ogni lettore deve aver fatto, quanto di Robert ci sia in Conan, e viceversa. Un tema fascinoso.
      La presunta ispirazione da “King Kong” non la conoscevo affatto e in ogni caso, a parte la somiglianza di motivi, Howard qui ci ha messo del suo. E per fortuna di noi tutti, si sente.

      Ciao

    • 14 anni ago

    Si.E’ una discussione che potrebbe continuare all’infinito.
    La cosa più vicina ad una relazione che R.E.H abbia mai avuto è stata la sua “amicizia” con Novalayne Price,che tra parentesi, credo ci abbia anche scritto un libro sopra.Ma l’unica donna della vita di Howard poteva essere solo la madre con cui aveva un rapporto che sfiorava la sudditanza.Gli unici amici che aveva come Lovecraft e gli altri scrittori di Weird Tales praticamente non li incontrò mai,con la sola eccezione Di E.Hoffman Price(a cui comunque diede prova della sua paranoia quando parlava dei suoi concittadini).
    Quindi aveva un idea dell’amore e dell’amicizia molto vaghe ed ingenue.
    Forse era un disadattato,forse era semplicemente un mammone;io comunque non posso fare a meno di provare dispiacere per quel bambino mai cresciuto che non è mai riuscito a vivere appieno nel suo tempo.

  • Grazie del complimento. 😉

    Sì, quella sui generi è una discussione che “a volte ritorna”. Periodicamente, senza che né l’una (quella pro), né l’altra parte (quella contro) vengano a una posizione meno estremista. Forse è una di quelle cose che non ha soluzione.

    Io uso la classificazione in generi per comodità. L’etichetta “Sword & Sorcery” a indicare il lavoro di Howard mi è utile per essere rintracciato, ed è utile al lettore per capire immediatamente di cosa tratta l’articolo.
    Sul discorso “ghettizzazione”, ed hai ragione perché è proprio di ghetto che si parla talvolta, sono d’accordissimo con te. Non esistono scrittori, né scritti, di categorie superiori e inferiori.
    Uno scrittore è tale se è in gamba, non importa se scrive di puffi robotici o di esistenzialismo.
    Peccato che sembra che solo su internet ci sia gente che la pensa così. Dovresti dare un’occhiata agli ambienti accademici per capire che, ahimé, la realtà è ben diversa.

    Ci sono aneddoti di Robert Howard che appaiono inquietanti. Tipo che fosse un tantino paranoico e la notte soleva barricarsi dentro casa perché era convinto che la gente della sua città volesse fargli la pelle…
    Su Howard scrittore, be’, non dimentichiamo che si è sparato che aveva solo 30 anni. E a trent’anni lo stile può essere ancora acerbo (d’accordo, ci sono le eccezioni, come sempre). Il guaio è che non aveva esperienza di vita. E questo si ravvisa proprio nelle sue ingenuità di cui parlo sopra. Prendiamo Conan e il suo rapporto con le donne: troppo adolescenziale e per di più casto. E mi riferisco non tanto all’assenza di dettagli piccanti nel testo, quanto alla semplice interazione e ai dialoghi che io trovo irrimediabilmente desunti da qualche “libro di testo”, imitati, ma non vissuti in prima persona.

    E ci sarebbe ancora tantissimo da dire…

    • 14 anni ago

    M’interessa il discorso sugli scrittori e sulle classificazoni in generi.
    E’ una discussione che ogni tanto torna,l’ultima volta con la morte di Ballard.
    Se si tratta di un discorso di ghettizzazione allora penso che siamo tutti d’accordo:non esistono scrittori di serie A e scrittori di serie B.Se uno è bravo è bravo sempre sia che scriva trattati di filosofia sia che scriva fantascienza od Horror.
    Se si tratta invece di una semplice opera di classificazione allora non credo che ci siano particolari problemi a definire,più che gli autori le opere scritte.
    Nel caso di Howard sicuramente era un autore che riusciva a dare prova di sè in diversi “generi”(sii buono passami il termine:)).
    Sulla sua vita ha ragione Keyem,ci sarebbe tanto da dire.Io per primo,se lo volessi descrivere,direi che era letteralmente succube della madre e forse,gli mancava l’integrazione nella comunità in cui viveva;questo però non gli ha impedito di creare vere e proprie perle letterarie.
    Ciao,sempre più bello il tuo blog.

    • 14 anni ago

    Capisco il fascino che può derivare da questo tipo di racconti e dall’arte tratta da essi.
    Io non ho mai letto Howard e gli altri scrittori del periodo, ma credo che siano letture leggere da riscoprire.
    Mi piacerebbe, però, che tu raccontassi qualcosa sull’autore. A quanto ho capito era un tipo singolare. 😀

    • Be’, considerato quanto sia vicino ferragosto, è ammirevole che ci sia ancora qualcuno a farsi sentire da queste parti. Perciò grazie.

      @ KM
      È un fascino un po’ fuori moda. Ma non tanto a pensarci bene. Le illustrazioni di Frazetta vanno ancora forte.
      Sì, piacerebbe anche a me sondare gli aspetti più personali del carattere dello scrittore, senza usare tanti giri di parole come si fa di solito. Mi riferisco al fatto che, comunque, si tende a dare un’immagine “positiva” dello stesso, anche a scapito della realtà dei fatti e della miseria che ne traspare.
      Se deciderò di scriverci su, vorrà dire che avrò trovato materiale interessante e poco noto su Howard, e allora ne varrà la pena. Altrimenti niente da fare.
      Tanto per cominciare intendo demolire l’assunto che Robert E. Howard sia uno scrittore di genere. O uno è scrittore, o non lo è. Inutile girarci intorno con definizioni e categorie insulse: scrittore di genere non significa nulla.

      Almeno per me.

      🙂

      P.S: nessun intento polemico, eh! 😉

    • 14 anni ago

    Howard è stato uno dei primi scrittori di genere fantasico che abbia mai letto.Credo che anche le sue ingenuità facciano parte del suo fascino(e di quello di Lovecraft e di Ashton Smith).Ma è l’intera generazione di scrittori di Weird Tales che è stata irripetibile.La nostra fortuna è stata che la maggior parte dei suoi disegnatori da Barry Windsor Smith a Buscema sono riusciti a conservarne in gran parte il fascino.
    Io magari trovavo più elegante l’era Hyboriana di Smith,ma è solo un parere personale.
    Ed anche le nuove versioni Dark Horse mi sembrano ottime.
    Piuttosto sarebero da riscoprire anche gli illustratori di W.T. come Margareth Brundage,l’autrice della cover da te mostrata ed il grande ma dimenticato Virgil Finlay.

    • Alcune copertine di Weird Tales le avevo radunate qui.
      La miglior raffigurazione di Conan per me resta quella di Buscema. Ad ogni modo, la volontà è quella di recuperare i racconti howardiani più belli (a mio parere) e associarli ad alcune tavole delle versioni a fumetti, di solito in bianco e nero, apparse su “La Spada Selvaggia”.
      Le storie a fumetti tratte da Howard restano fedelissime ai racconti, a dimostrazione di quanto questi ultimi siano efficaci se trasposti in sceneggiature. Cosa palesemente ignorata dai cineasti.
      Ma questa è un’altra storia…