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Lo Stagno dei Neri

“Di tanto in tanto parlava […] di continenti perduti e favolose isole di sogno che nessuno osava immaginare e che sorgevano in mezzo all’azzurra spuma di golfi senza nome, dove draghi cornuti stavano a guardia di tesori raccolti ere addietro dai sovrani preumani.”

Weird Tales, Ottobre 1933. Mi domando, nel caso Bob Howard avesse soddisfatto al sua brama di viaggiare, se le sue storie avessero beneficiato di altrettanta forza fantastica.
Lui non è stato, né sarà mai, l’unico autore ad aver scritto di viaggi in terre esotiche senza averle mai viste, se non dai libri, o dalle fotografie, annacquate dal color seppia, magari.
Ragione per cui, dove risiede l’immaginazione? Nella desiderio frustrato?
Stesso discorso può esser fatto, con le dovute cautele, anche per quello che concerne l’amor cortese. Un amore, nella quasi totalità dei casi, ideale e perfetto.
Perché, si sa, con l’intimità, intesa come conoscenza, l’incantesimo finisce, per mutare la sua essenza.
Howard sognava di isole vergini, donzelle in pericolo, razze aliene di mostri dalla pelle d’ebano, e di dominare lui stesso, col suo alter-ego, questa realtà. Dapprima depredandone l’essenza vitale, o meglio piegandola a esigenze immediate, quali la soddisfazione di brame lussuriose, o anche della semplice fame fisica. Poi governandola, non per intero, ma accontentandosi, si fa per dire, di sedere sul trono più civilizzato della terra, lui, un barbaro. Così estraneo a un contesto molle e infiacchito dalla pigra decadenza di stirpi corrotte.

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L’isola

Come sempre, un’isola sconosciuta. Sarebbe inesatto definirla abbandonata.
L’isola dei Neri, è abitata, ma sconosciuta all’uomo civilizzato del continente. Situata a occidente, nell’oceano inesplorato. Essa è aliena come dovevano esserlo le Americhe agli spagnoli. Non vuol dire che fossero abbandonate.
Stesso fascino, in ogni caso, si respira nell’avventuroso viaggio verso l’ignoto di Zaporavo, capitano della Wastrel, un veliero, e della sua ciurma, tra cui c’è Conan, diretti a un’isola che figura solo da alcune carte, perché citata in un antico manoscritto, della quale, ovviamente, si favoleggiano tesori inimmaginabili.
Isola come microcosmo. Conan come agente perturbante di vetusti equilibri. Zaporavo e i marinai nel ruolo di comparse e Sancha, la damsel in distress di turno, come punto di vista alternativo a quello di Conan.
All’inizio del racconto, anzi, è lei che osserva e descrive. Tutto parte dai suoi occhi.
Sancha è una fanciulla delicata, preda come sempre degli eventi. Rapita, venduta, passata di mano in mano, fino a essere divenuta oggetto, per quanto trattata coi guanti, del vecchio Zaporavo, filibustiere burbero, vecchio e ambizioso, che si fa chiamare il Falco. Ella è priva di ambizione, contenta, anzi, del suo attuale status, ovvero un divano con baldacchino, situato sul cassero della Wastrel. Lì riposa seminuda, cosciente degli sguardi concupiscenti che i marinai le lanciano dal ponte e da sottocoperta.
Conan non è anonimo. Come può esserlo un guerriero che riesce a issarsi sulla nave incurante degli squali che infestano le acque in cui stanno navigando?

***

Princìpi

Si direbbe, come al solito, che l’intreccio de Lo Stagno dei Neri (The Pool of the Black One) sia strutturato su un conflitto manicheo, con Bene e Male ben delineati e schierati agli antipodi. Le mire di Zaporavo, seguendo la volontà del quale si giunge a perturbare il microcosmo dell’isola sconosciuta, dovrebbero essere l’elemento di fusione e scontro.
In realtà, leggendo, ci si rende conto che mancano proprio quegli elementi caratterizzanti quel tipo di narrazione: il Bene e il Male.
Non ci sono.
Può sembrare di sì, ma è un’osservazione superficiale. Certo, Howard ci mette del suo, non mancando di descrivere gli indigeni dai volti grifagni come crudeli, inumani, cosmicamente malvagi, il tipico aspetto del Male millenario, ma non è così.
È probabile che questo breve racconto, come capita spesso, sia sfuggito alle mire del suo autore, per assumere un significato più naturale attraverso le migliaia di riletture.
Sancha resta il punto di vista. Non fa molto altro che spogliarsi, restando nuda, in una situazione che ha del grottesco, per poi finire, guarda caso, al cospetto di Zaporavo, morto, colui che per primo l’ha posseduta. Strano simbolismo… fin troppo opportuno. Conan è il predatore. Non se ne frega nulla dell’isola, dei tesori, neppure crede che esistano; lui vuole solo il posto di Zaporavo, in qualità di Capitano, la nave di quest’ultimo e la ciurma necessaria a governarla per tornare alle sue scorrerie sui mari della costa.
Zaporavo vuole i tesori dei quali ha letto su antiche carte.
E, infine, ci sono loro: i Neri. Giganteschi, molto più alti di un uomo, dai visi arcigni e dai nasi adunchi, dagli arti robusti e spigolosi, in una parola inumani, o molto più antichi, e perciò corrotti, degli umani.
Ma, nonostante tutto, ciò che i Neri fanno, è quello che fanno tutti gli altri attori di questa storia, seguono la loro natura.
Bene e Male sono, quindi, diluiti. Oppure una semplice scusa per tessere in verità un affresco, anche piuttosto stereotipato, del vivere secondo natura, ciascuno seguendo la propria libertà.

***

Libertà

Dallo scontro di queste libertà, nasce il conflitto il cui esito, come sempre in Howard, è fatale a una delle parti.
Una storia costruita a tavolino, quindi? Non credo.
Contiene, è vero, similitudini palesi con molti altri racconti dello stesso autore, nonché suggestioni linguistiche derivanti, presumibilmente, dalle letture e dai carteggi personali di Bob con gli altri autori del fantastico a lui contemporanei. L’impressione che Lo Stagno dei Neri dà, piuttosto, è quella del tentativo di voler comporre la storia perfetta. Una storia nota, basantesi su un numero limitato di elementi e situazioni, alla perfezione della quale si giunge dosandone, con minime variazioni, gli stessi.
Dal punto di vista immaginifico, l’isola è suggestiva oltre ogni limite. Non razionale, né giustificata nel suo esistere e nell’agire dei suoi abitanti. Ma resta scenario eccelso nel quale muoversi e raccontare.
La sabbia corallina, il verde della vegetazione, i profumi che da questa scaturiscono, sono evocati in modo magistrale. Con la potenza tipica di chi quegli stessi paesaggi li ha visti, ma solo nella propria mente. Li ha desiderati quindi, e ha anche sognato di viverli.

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  • […] Lo Stagno dei Neri […]

    • 13 anni ago

    Io questo racconto non l’ho mai avuto in grande considerazione. Per i motivi che hai giustamente segnalato tu. Però devo ammettere che questa tua rilettura lo rende se non più interessante almeno più ragionato di quanto fossi disposto a credere. E il discorso fila. Sembra plausibile che Howard ci abbia riflettuto un bel po’ mentre lo scriveva.

    • Uè, e tu da queste parti stai? 😉

      Come sempre: non credo che la mia sia una rilettura.
      Diciamo che è solo una lettura.

      Grazie.