Cinema

MARK 13 (Hardware 2 di 4)

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Marco 13 è il tredicesimo capitolo del Vangelo di Marco, nel Nuovo Testamento. Questo prima di diventare il nome di un robot assassino.
È il capitolo in cui Gesù predice la distruzione del Tempio di Gerusalemme.

Tempio che, dopo la distruzione, lui avrebbe fatto risorgere in tre giorni.
Passo simbolico, naturalmente, dove il simbolismo è contenuto nelle stesse parole di Gesù, che riferisce non al tempio di pietra, ma al proprio corpo.
Attribuire medesimo nome a un robot che, guarda caso, “risorge”, è indice di precisa volontà di annientamento della specie.
Il Mark 13 è atto alla distruzione: l’opposto del Corpo di Cristo, che avrebbe significato salvezza di quella stessa carne che invece il robot deve distruggere.
Non deve meravigliare questa forte influenza religiosa. Richard Stanley ne è imbevuto, fin da bambino, di questa e delle millenarie tradizioni misteriche africane, che in un determinato momento della storia vennero contaminate, in quel duplice processo di inculturazione e acculturazione, dai predicatori cristiani.
Sembrerebbe quasi che Hardware nasca su basi storiografiche ben precise proiettate in un futuro distopico, percepito come ineluttabile, e con intenzioni al di là dell’immediato intrattenimento.
Ed è anche possibile, conoscendo la complessa personalità del regista.

h2Eppure, la storia di Hardware è nata altrove, per mano di altri autori, quando, sulla rivista inglese 2000AD, comparve una storia a fumetti intitolata SHOK!.
In essa Mike, un avventuriero, omaggia la sua fidanzata, Lyn, della testa di uno Shok Trooper Robot. Testa che lei riciclerà in una composizione artistica.
La testa dello Shok Trooper si riattiverà e, una volta ricompostosi in una forma offensiva, tenterà di ucciderla.
Il Mark 13 è la negazione della vita stessa. E non solo perché allergico all’acqua, che poi è lo stratagemma che consente a Jill di sopraffarlo, o perché programmato per uccidere: esso è un’allegoria della carne, pur essendo metallo; cerca ripetutamente di uccidere Jill penetrandola con un fallo rotante, in un atto che trascende la propria natura per capovolgerla.

h3Il robot veste le stelle e le strisce; questa è una peculiarità unica del film. Neanche troppo incomprensibile, se la riportiamo al periodo storico: 1990, un anno dopo Reagan, un anno dopo Bush senior, e tutta una serie di scelte politico-economiche ben determinate.
Quei colori così familiari, celebrati al cinema dalla cultura pop, all’apice della Guerra Fredda, del conflitto combattuto a colpi di propaganda retorica, anche coi guantoni di Rocky Balboa, contro il rosso di quelli dall’altra parte della cortina, che adornano il capo del Mark 13, uniti al significato biblico, anch’esso ribaltato, come il suo pene cibernetico, sanno di feroce ironia.
Ma non solo, sempre considerando questa sorta di trasfigurazione religiosa, ricordiamo la liturgia attraverso la quale il Mark 13 rinasce.
È un mondo, quello di Hardware, non solo inquinato, ma aberrante, in cui la violenza non è solo combattuta in guerre devastanti che riducono il mondo a un deserto radioattivo, ma che serpeggia in ogni settore, a cominciare dai mass-media.
E così, Jill si sveglia in piena notte, cercando ispirazione e accendendo la TV, dove un soldato tedesco giustizia un prigioniero ebreo, che precipita nella fossa che ha appena scavato. Il Mark 13 nasce da cupe suggestioni, con una corona di piccole bambole bruciate dalla fiamma del saldatore.
È la creazione della propria nemesi.
Nemesi che cerca di tornare nel ventre materno, per distruggerlo, per evitare una nuova resurrezione attraverso il DNA.

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