L'Attico

La Storia del Cesso

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Qualche sera fa sono uscito e ho conosciuto gente nuova. Ed è successo.

Se come me avete il pallino della scrittura, anzi, peggio ancora, avete la presunzione che i vostri scritti piacciano e quindi li date in pasto ai lettori, e per di più, avete l’incoscienza di rispondere “scrivo” alla fatidica domanda “E tu cosa fai nella vita?”, allora avete presenti le reazioni automatiche che sorgono nell’interlocutore, appena udita la parola scrittura.
Un perfetto sistema azione-reazione che rende questo mestiere, la scrittura, una ridicola macchietta. E non la cosa stupenderrima che noi tutti vagheggiamo dal momento in cui, aperto il primo libro, sussurriamo a noi stessi: “un giorno ne farò uno uguale”.

Ecco, credo si cominci così, aprendo un libro e avendo la faccia tosta di pensare “cazzo, se c’è riuscito questo, come si chiama, Dostoevskji, allora ce la posso fare anch’io.”

Sì, certo…

Perché dai, uno non è che inizia a scrivere perché è bello, o per la sacra passione/missione, o perché c’è il demone interno che vi tormenta le viscere.

Un tizio è entrato in una grotta, millenni fa, e ha pensato che in fondo tracciare segni su una parete liscia, per far sapere agli altri suoi simili che da queste parti, cazzo, si cacciano cervi che cucinati alla brace sono la morte loro, poteva essere una bella idea. E sì, perché i segni sulla roccia, colorati, erano pure belli da vedere, alla luce della torcia. Quindi si soddisfaceva la pancia e l’occhio. Mica male per un segno su una roccia che, a tutti gli effetti, è niente, perché siamo noi a attribuire a esso un significato.

Quindi, secondo me, l’esigenza primaria che ci ha portato a scrivere è: la lista della spesa.
Non sottovalutatela, quando la stilate, ogni mattina, pensando al cartone di latte o all’insalata che vi serve per la vostra cena macrobiotica (che non sapete manco di preciso cosa sia, la cena macrobiotica, ma forse ha poche calorie, quindi è moralmente accettabile).

***

Però, c’è sempre il vostro interlocutore lì, che vi guarda e si domanda che è, questo segreto massonico che dite di portare avanti seriamente, tanto da volerne fare un mestiere?
Nella fattispecie, chiamiamo il nostro interlocutore Antonella (nome fittizio, che adopero per proteggere gli innocenti).
“E tu, che fai nella vita?” chiede Antonella, dopo avermi stretto la mano.
“Scrivo” rispondo.

Perché sì, certe volte sono così sciocco da rispondere ancora così. Perché sotto sotto, l’idea di campare facendo ciò che mi piace di più, ovvero imporre agli altri i miei scritti, mi solletica ancora.

E ancora sì: siamo in Italia, il paese del “non è possibile vivere di scrittura”. Ma… cerchiamo di dimenticarcene per un attimo.

“Cosa, romanzi?”
“Ehm… sì. Preferisco chiamarle storie.”

Antonella scatta subito con la domanda che odio più di tutte le altre, ma che la identifica chiaramente, o meglio, identifica quale sia la sua idea di scrittura, ovvero un logoro clichè: “Ah. E di che genere?”

Perché la scrittura è tale solo se identificata in un genere. A quel punto è un bel salto, decidere se assecondarla e mentire, “romanzi d’amore, o drammatici, o young adult (che fa fighissimo)”, oppure se aiutarla a stendere il velo pietoso con un secco: “fantascienza”.
Alla parola “fantascienza” lei storce la bocca e beve un goccetto del suo drink. Segue il silenzio imbarazzato… e poi si cambia discorso.

Che poi non è manco vero che scrivo fantascienza, ma all’interlocutore serve una sola parola, non un discorso sul perché non è opportuno ridurre la Scrittura a generi. Vabbé…

Ecco, King scrive coi piedi poggiati sulla scrivania e un cane accucciato sotto. Ma forse anche no.
Ecco, King scrive coi piedi poggiati sulla scrivania e un cane accucciato sotto. Ma anche no.

***

E di solito qui finiscono le mie avventurose conquiste, quando sono così pazzo da dire che “scrivo”.

Però, però, c’è sempre l’altra faccia della medaglia. Perché una sera incontri Rebecca (altro nome di fantasia) che alla parola “Scrivo!” risponde “Anch’io!”.

Al che, sono fottuto due volte.
Perché Rebecca è il cliché opposto, quella che scrive per PASSIONE, perché c’è un sentimento dentro di lei che la porta a vergare parole sulla sudata carta, quella che esprime i sentimenti attraverso le parole, che annusa i libri e li coccola e solo dopo li legge, quella che: la scrittura deve comunicare, far crescere, instaurare un rapporto fecondo di interscambio con il lettore, quella del “Come hai iniziato a scrivere?” e dell’ancor più famigerato “Perché scrivi?”, che si è preparata una storiella ricca di dettagli, perché più dettagli ci sono e più credibile è la storiella, del come ha iniziato.
Sul perché sorvoliamo, il perché è sempre un qualcosa che sta dentro e che vuole uscire: un demone, un fanciullino, l’occhio di Ra, l’amico immaginario, la zia Pina, la peperonata col caffèllatte.

Ma il motivo per cui si è iniziato è importante, perché quella sera, che fuori pioveva, ma non un acquazzone, una pioggerellina delicata accompagnata dal freddo, che appannava i vetri della stanza, illuminati di brace da un mozzicone di candela, perché era andata via la luce; quella sera vidi il dorso de L’Ombra dello Scorpione e dissi a me stesso, osservando una gocciolina scivolare sul vetro e tagliare in due l’alone, sarò uno SCRITTORE!
Cioè, nient’altro che: la storia del cesso.

“Un poliziotto infiltrato dev’essere come Marlon Brando. Per fare questo lavoro devi essere un grande attore. Devi essere naturale, devi essere naturale come pochi. Devi essere un grande attore perché gli attori mediocri fanno una brutta fine in questo lavoro.”

“Le cose importanti da ricordare sono i dettagli, i dettagli rendono la storia credibile. Questa particolare storia si svolge in un cesso pubblico, perciò devi conoscere tutto di quel cesso pubblico. Devi sapere se c’erano gli asciugamani di carta oppure il getto di aria calda, devi sapere se i pisciatoi avevano le porte oppure no, devi sapere se c’era il sapone liquido o quella schifosissima polvere rosa che si usava al liceo, ricordi? Devi sapere se c’era o no l’acqua calda, se c’era puzza, se qualche pezzo di stronzo schifoso bastardo figlio di puttana aveva schizzato di diarrea una delle tazze. Devi sapere tutto quello che riguarda quel cesso, capito? (da “Le Iene” di Q. Tarantino)

Lo scrittore è come un poliziotto infiltrato. E c’è gente, tipo Rebecca, che se ne va in giro a raccontare questa storia suggestiva, perché la prendano sul serio. E magari ci aggiunge anche qualche nota su come scrivevano i grandi: “Hemingway scriveva in piedi!”
E sapete che c’è? Che FUNZIONA! Gli astanti sono catturati dall’aneddoto, e guardano Rebecca con aria trasognata.

Niente a che vedere con la mia: “Cazzo, un giorno mi sono detto: lo so fare anch’io.”
Che poi è vero, è andata pressappoco così, una sera mi misi in testa di saperlo fare. E avevo diciannove anni. E non avevo mai scritto prima (tranne forse una cazzatina a sedici anni), e non avevo idea di demoni e peperonate, di rugiada sui vetri, di candele etc… Anzi, ricordo che era il primo anno di università e le cose stavano andando a puttane, e che faceva un freddo tale che battevo i denti sotto il piumone e tre coperte. E che il freddo e il fatto che la mia vita stesse andando maluccio non ha influito sulla mia decisione di scrivere. Era solo l’ambiente che mi circondava in quel momento.

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***

Perché secondo me quelli che pensano ai motivi del come e perché hanno cominciato e si preparano la “storia del cesso”, sono quelli che non scrivono. Che il libro rimane nel cassetto perché ha bisogno della limatura eterna. Che non hanno mai tempo. E vivono aggrappati al sogno che sfuma sempre più. E non hanno nemmeno il brivido del rischio, come i poliziotti infiltrati, ma possiedono un Mac da tremila euro per sfogare la loro creatività, che è sempre in potenza e mai atto.
Rebecca, per la cronaca, sta lavorando a una trilogia fentasi.
“E… dove posso leggerla?”
“Eh, ci sto lavorando, tra tre-quattro-otto settimane dovrebbe essere pronta…”
Sì, certo, nel DuemilaCredici.
Ok…

Però, ehi, a raccontare la storiella è un drago. Sembra quasi di essere lì con lei, a sentire il tepore della fiammella che si disperde sul vetro freddo.

Poi, per carità, se si scrive per sfogare tutte queste esigenze, a che servono i soldi?
E infatti Rebecca non vuole sentir parlare di soldi.

“Ma i soldi servono a pagare le bollette!” obietto io.
“Ma così sottrai dignità alla scrittura!”

Eh già, questo essere supremo che ci inganna e ci lusinga con le sporche banconote.
Io però comincerò a sentirmi davvero soddisfatto quando, rientrando a casa, schiaccerò l’interruttore della luce, sapendo che quella luce arriva grazie alla mia scrittura.

Sì, mi accontento di poco.

Quindi, visto che molti di voi hanno il mio stesso pallino, io dico: lasciate perdere la storia del cesso, e il fatto che Hemingway scrivesse in piedi o in un bar incasinatissimo, lasciate perdere queste stronzate. Lui era Hemingway e poteva dire tutte le puttanate che voleva, il mondo gli vorrà bene comunque.
Voi siete voi, e il mondo vi odia, perché non vi conosce.
Siete solo voi e le lettere: mettetele in ordine. L’ordine che vi piace di più, che ha ritmo e che abbia un senso recondito che solletica l’intuito. Trasformate le parole in musica, sperando che suoni anche per gli altri.
Ma soprattutto scrivete. E basta.

Ci penseranno poi i critici a inventarsi motivo e scopo del vostro scritto. È il loro mestiere. Vengono pagati apposta.

Buon lunedì.

Kick-ass writer, terrific editor, short-tempered human being. Please, DO hesitate to contact me by phone.
  • […] domanda Perché scrivi? la maggior parte della gente là fuori risponde con la storia del cesso. La storia del cesso è una vecchia storia. Modestia a parte, l’ho chiamata io così, […]

  • […] il mio amico Germano le chiama storie del cesso ↩ […]

  • […] perché si scrive e perché si pubblica senza scivolare in quella che il mio amico Hell chiama la storia del cesso, e che invece è tutto ciò che ci viene ammanito quotidianamente. Mi piace perchè è la […]

  • […] sul blog del Girola, che a sua volta additava pubblicamente la fonte e origine di tutti i mali: un post di Germano M. su Book and Negative. È lui che ha lanciato questa esca alla rete. Vediamo quanti pesci tira su. Io ho già abboccato. […]

  • […] su chi l’ha fatto e su chi vi partecipa, Hell in due diversi momenti, con la sua “storia del cesso” e poi su quello dedicato proprio alla trasmissione, Paolo su Vite di Carta, in cui dice […]

  • […] su chi l’ha fatto e su chi vi partecipa, Hell in due diversi momenti, con la sua “storia del cesso” e poi su quello dedicato proprio alla trasmissione, Paolo su Vite di Carta, in cui dice […]

  • […] some days ago, my friend Hell from Book and Negative blog talked about this story, making a parallelism with writing. When you meet new people and you […]

  • […] quasi-meme nasce per caso sulle pagine di Book and Negative, il blog di Germano M. (guardate anche la versione inglese ci sono un sacco di mie fotografie […]

  • […] realtà, lo so benissimo come: parlando della Storia del Cesso. È bellissimo vedere come la rete sia ancora vitale, come la gente si diverta condividendo […]

  • […] Storia del Cesso è un titolo che si spiega soltanto leggendo il post che l’ha generato, ovvero questo, del mio amico e collega Germano. Anche Marina Belli ne ha poi fornito una sua versione. Leggetela […]

  • […] post nasce da un articolo del mio amico Hell, intitolato “La Storia del Cesso“. Andatelo a leggere, ne vale la pena, né io né il blog scappiamo. Posso dire di essere […]

  • 😀
    È stata una professoressa eccezionale. Pensa che ci aveva detto (almeno a me e i miei amici, agli altri interessava poco) che giocava di ruolo, ricordo ancora che si era vantata della sua incantatrice di 20esimo e passa livello con una tigre dai denti a sciabola come compagno animale. XD
    E poi ci aveva fatto scegliere democraticamente quale romanzo leggere e analizzare. Vinse Ubik. In quanti possono dire di aver letto un romanzo del genere, al liceo? 🙂

    • Eh, capitano gli individui speciali, di tanto in tanto. Non tutti sono infiltrati che si atteggiano. 😀
      Io mai letto robe “strane” quanto Dick, solo i classici, al liceo. ^^

  • L’aneddoto è tanto vero da essere quasi doloroso. Con tutte le sue parti e le le sue conseguenze. Da chi dopo tutto ci prova ancora a dire cosa fa (o cosa vorrebbe fare) a chi si è costruito una leggenda ed è talmente impegnato a viverla da non aver capito cosa vuol dire.
    Hai fatto bene a scrivere questo post. Ogni tanto bisogna ricordarsi dei perchè non si viene presi sul serio quando si fa qualcosa di estremamente serio come scrivere.

    • Hai detto bene, alla fine sembra che per certe persone sia più importante il contorno della scrittura, e quindi il personaggio scrittore, che la scrittura stessa. Allora si beano degli aneddoti dei grandi, e dei propri, e non concludono nulla.
      Sono figure molto tristi.
      Io non è che sia giunto molto più lontano, ma almeno qualche libro l’ho finito e l’ho pure fatto leggere, che poi è la cosa fondamentale per capire a che punto si è, e per darsi sempre più da fare.
      Grazie, Angelo. 😉

  • Cavoli, cos’altro si può aggiungere a un articolo così ben scritto? Niente. 😀

    Per dire, io ho cominciato a scrivere (dico consciamente, perché le scemenze tipo emulare i Piccoli Brividi le faceva quando ero mentalmente in fasce) perché la professoressa di italiano del liceo aveva detto che chi voleva poteva tentare di sottoporle un racconto di narrativa, e lei avrebbe dato un voto che avrebbe fatto media con gli altri nel registro.
    Fui il primo a tentare (e fummo in tutto solo due) e ci rimediai un bel voto. Insomma, la mia scrittura nasce proprio a pagamento, con l’unità monetaria espressa in votazione sul registro, alla faccia della dignità dei demoni e tutto il resto. 😀

    Ciao,
    Gianluca

    • Respect!
      Magari avessi avuto un insegnante così..
      Grazie. 😉

  • Uhmm… non ricordo se qualcuno/a mi ha mai confessato/risposto/strombazzato che scriveva.
    Ma se mi avesse detto che scriveva storie, credo che potrei avergli chiesto, di rimando: di che genere?
    Ma per inquadrare meglio, entrare nel discorso, dare un cenno di interessamento: non per etichettare. 😉
    Tipo, se mi avessero risposto: di vampiri avrei risposto: Ok. Oh, ma gaurda un po’ se quello non è Amedeo?!!? Scusa un attimo, eh, mò torno! 😀

    • Sì, ma il fatto è che non c’è una risposta adeguata a una domanda del genere. 😀
      Cioè, se dico che scrivo horror ti fai un’idea.
      Se dico letteratura erotica un’altra.
      Se dico paranormal romance ancora un’altra.
      Ma finché non leggi non saprai mai se scrivo bene o male, no? Quindi è un po’ etichettare, dai. 😀

  • sei un mito. E non dico altro 😀

  • Io ti adoro. Oggi avevo bisogno di un post così, che dicesse le cose come vanno dette senza girarci attorno.

    Gli stupidi esistono,esisteranno sempre, ma sapere che la fuori c’è qualcuno che il mondo, quello vero, lo vede con occhi liberi, fa un gran piacere!
    Grazie. 😉

    • Prego, per me è sempre un piacere. Il blog assume un senso anche per questo. 😀

  • Rimetto il comment con cui commentai un post di Davide

    A cena con un po’ di gente:
    “Tu che scrivi perché non ci scrivi qualcosa qui, adesso, magari su un tovagliolo?”
    Mia risposta:
    “Tu che sei architetto, perché non mi fai il progetto di una casa, adesso, magari su un tovagliolo?”

    Grande Hell – te vi ben

  • Io sono partito dal disegno, però mi stava stretto. Volevo ampliare il concetto. Il mio sogno iniziale era darmi al libro illustrato, ma per la strada ho perso sia la trama che la matita.

    Anche io – ai tempi – non partivo con un genere in mente, solo un’idea che poteva essere un luogo, una circostanza o un personaggio, poi andavo a braccio finché non me la raccontavo man mano e mi fermavo quando sapevo che era finita. Non è che sospirassi o cercassi le muse, giocavo col mio cervello a mettere su pagina qualche idea.

    • Ma io tutt’ora non parto con un genere in mente. Non credo si possa, anche se da qualche parte si sostiene il contrario, stabilire a priori un genere da scrivere. Si parte sempre da un’idea. E poi le si attribuiscono le sfumature più gradite.
      A meno che non sia un progetto a tavolino, e quindi debba ricalcare volutamente i canoni del genere. Se scrivo un noir, il limite d’improvvisazione che ho è molto stretto, ad esempio. ^^

      • La penso come te, prima viene la storia, poi man mentre la scrivi capisci come va raccontata (quello è il genere).

  • Spettacolare, da applauso!
    Ok, quando chiedono a me cosa faccio non dico mai “scrivo” (neanche quando lo facevo ancora), ma se per caso si cade sull’argomento, devo darti ragione: corrisponde tale e quale.

    Io poi non ho una storia del cesso (non me la ricordavo, ma il modo in cui l’hai adattata agli scrittori “ispirati” è perfetto), ho iniziato perché mi divertivo e sembrava abbastanza simile al disegno, nel senso che ritraendo qualcosa con le parole potevo essere un po’ più ambizioso che con la matita, in fondo ho letto parecchio e l’italiano lo conosco (una dote non così comune).

    Il fatto che mi chiedano il genere invece non m’infastidisce granché – accetto la curiosità, un po’ meno l’eventuale giudizio snob – solo che non ho idea di come rispondere, perciò di solito bofonchiavo “mah sai, un po’ strano, grottesco, a volte comico” il ché non aiuta, perché poi vedi la confusione nell’interlocutore che a quel punto ha due scelte: cambiare discorso o insistere per capire, magari citando autori vari. Io di solito prego per la prima, invece – se va bene – “come Christopher Moore?” Beh no, magari.

    Quel tipo di scrittore lì, che ha la sua storia da cesso pronta, che racconta trasognato avvolgendo l’uditorio in una cappa di zucchero filato lisergico, che si racconta le balle talmente bene da ingannare anche gli altri, io non lo reggo. Ne detesto il tono, la mentalità, l’arroganza, il senso di superiorità del tutto ingiustificato, e quando ho letto: “Ma così sottrai dignità alla scrittura!” m’è scappato da ridere, perché alla fine non se ne rendono conto ma sono delle macchiette.

    • Alcuni invece iniziano come pittori, ma vedendo che è troppo dura ripiegano sulla scrittura. Perché sai, cazzo ci vuole a scrivere? Butti giù una cinquantina di pagine, le fai editare a un amico, ci incolli una copertina… 😀

      No, il mio problema riguardo al genere è che io non scrivo pensando a un genere. Io scrivo storie. Difficile spiegare in una sola parola che sono storie contaminate.
      D’altronde il lettore abbisogna di un singolo termine che racchiuda in sé un’intera epopea di suggestioni. Solo che… fantascienza non corrisponde. Neppure horror corrisponde. Anche se forse Horror ha più dignità (sebbene comunque poca) di fantascienza.

  • Lo dissi tempo fa: credo che non dirò più a nessuno che scrivo, non dal vivo perlomeno. Le domande standard che hai citato tu mi fanno terrorizzano ormai, quanto gli sguardi di compatimento quando capiscono che non fai sport o non hai una bella moto in garage.

    Ma allo stesso livello, trovo quelli che sì, hanno scritto qualcosa anche loro e prima o poi…

    • Allo stesso tempo quello sguardo esclude che io abbia una jacuzzi, come i veri scvittovi. E invece sottintende che sono un morto di fame.
      E poi ‘sta gente finisce nei libri o sui blog, materiale umano per articoli o libri. Come posso tacere su queste peripezie? 😀

  • Mi limito ad applaudire fino a spellarmi le mani.
    Bravo!

    • Grazie! 😉

  • È che la gente è stupida e bisognerebbe frequentarla il meno possibile.
    Il mio ideale di scrittore è uno che nemmeno deve mostrare volto e nome in pubblico.
    Tutto ciò va in antitesi con ciò che è diventata la nostra società che è, appunto, solo di pose.
    Per questo odio buona parte dei luoghi comuni sugli scrittori.

    • Lo so, però la natura sociale a volte chiama…
      Balle, a chi la racconto? È tutt’altro tipo di natura.
      Ebbene sì, sono un fornicatore maledetto. O almeno ci si prova. Ma la storia dello scrittore non tira, è l’opposto del viagra. 😀

      • Non so se il rocchettaro impasticcato e ubriacone tira ancora… 😀

      • La prossima volta racconta che sei un musicista 😀

  • Io nemmeno me lo ricordo, perché ho cominciato… La risposta più ovvia potrebbe essere un bel “perché no?”
    O magari anche “Cazzi miei”, ma poi si passa per maleducati.
    In effetti, ho una mezza idea che il mio primo tentativo di scrittura risalga alla prima media. Una specie di fanfiction sui Master of the Universe. Oh, mamma…
    Ma io, di solito, evito di dire “scrivo” o “tengo un blog su internet” perché questi sguardi sgranati mi hanno rotto i cosiddetti. Che poi tocca spiegargli perché non hanno ancora visto il mio nome tra Licia Troisi e Fabio Volo, sapendo che tanto gli sembrerò comunque uno sfigato.
    Ma chissene…

    • Guarda che è brutto che la gente non percepisca la scrittura come un mestiere… anzi, di più, è tragicomico, e la parte comica sono le scenette alle quali assistiamo tutti i giorni. 😀

      • @Gianluca: sì, ho letto solo ora! Purtroppo è solo una goccia nel mare, o meglio un’iniziativa derivata dallo sforzo della singola insegnante, “dall’alto” c’è il vuoto assoluto. Poi, non so: io ho fatto il liceo artistico che se non altro ha un sacco di ore di materie applicate (anche se mi dicono che con la riforma Gelmini quelle ore siano diminuite… no comment), ma se vogliamo questo evidenziava ancora di più la differenza d’approccio con le materie non caratterizzanti in cui si privilegiava di gran lunga la teoria alla pratica, incluse chimica e fisica dove secondo me una gitarella in laboratorio (che avevamo! quindi non è che valesse la scusa “mancano le strutture”) di tanto in tanto avrebbe molto aiutato.

      • Come ho detto più giù, io ho avuto un’esperienza di scrittura in ambito scolastico, al liceo. Ma si è comunque trattato di un caso isolato e, lo riconosco, più unico che raro nel contesto della scuola italiana.
        Eppure, studiamo gli “effetti” della scrittura. Studiamo la letteratura, la poesia.
        Non studiamo le “cause”, i meccanismi interni, quelli che elenchi alla fine del tuo commento.

        Voglio vedere se un insegnamento così monco sarebbe accettato in atlri ambiti, tipo – dico a caso, eh – la fisica.

        Quindi, concordo con te. 🙂

      • Parlavamo di una cosa simile più in basso, con Gianluca, ma era un esperimento fuori dell’ordinario, per la scuola italica.
        Sì, ti confermo che la narrativa, intesa come teoria e pratica per costruire intreccio e personaggi, a scuola non l’ho mai e poi mai studiata. E ora che ci penso è l’ennesima dimostrazione che la scuola italiana è arretrata di un secolo o giù di lì.
        E concordo sul fatto che sia assolutamente colpa loro, se la scrittura come attività non venga presa minimamente sul serio. E oltre alla scrittura, tutte le attività artistiche in generale. Ché non dimentichiamoci che tutti gli “umanisti” faticano a essere pagati, qui da noi. :/

      • Non per fare il solito discorso da “solo in Italia”, ma… l’altro giorno (non ti sto a spiegare perché) sono finita sul sito di una scuola di Ulm, in Germania. Tra le cose pubblicate sul blog, c’erano gli elaborati di una classe equivalente alla nostra seconda media. Compito: scrivere un “krimi”, un giallo/poliziesco insomma (sì, sono fissati). In coppia o da soli, i ragazzini avevano scritto storie più o meno lunghe, scaricabili in pdf. Adesso non so tu, ma io alle medie non ho mai ricevuto il compito “scrivi una storia di tal genere”, o anche solo “scrivi una storia” e basta. Al massimo, mi ricordo, in terza media avevamo fatto un tema tipo “immagina il tuo futuro” che dovevamo scrivere come se si trattasse di un’autobiografia dal punto di vista di noi da adulti. Ma nulla che riguardasse, che ne so, il costruire un intreccio, i dialoghi, dei personaggi di finzione. Poi per forza si cresce con la percezione comune che scrivere, disegnare, suonare, siano di default cose che rientrano nel mondo degli hobby e non una cosa seria.

  • Non so quanto ti sia di consolazione, ma quando si risponde “io disegno” i risultati sono da così a peggio 😉 (e no, non si rimorchia, parlando di benefit collaterali. Mai una gioia!)

    • Si vede che dobbiamo cedere al lato oscuro e inventarci la storiella anche noi. 😀

  • Post fottutamente geniale ! La scelta del Dies Irae di Verdi è azzeccatissima ! In quanto alla storia del cesso , alla fine la gente ama sempre la versione colorita dei fatti , poco importa che spesso sia solo fuffa . Anzi penso al liceo di essermi bevuto anch’io qualche storiella del genere… (Sì avevo delle idee sulla scrittura e gli scrittori molto stupide. )

    • E che dobbiamo fare, ridiamo, ché è lunedì. e ci fa bene. 😀
      Thanks! 😉