Antologia del Cinema

I Duellanti (1977)

Oggi Alex scrive un post sul duello. Ed ecco che ricordo di avere la recensione di questo film in canna da diverso tempo. Credetemi, la sintonia tra blogger continua, non voluta, non cercata, ma essa c’è. E, finché dura, la condivido con tutti voi.
La stranezza del duello, del concetto di onore che lo maschera, che decòra, più che altro, la violenza che ne è alla base, è anche il fascino che spinge a trattare opere a esso ispirate. Devo ammettere che personalmente, pur non avendolo mai praticato, a causa, credo, del mutare delle epoche e della percezione comune, guardo a tale passata pratica con una certa benevolenza romantica. Non sono un fan del duello, se mi capite, però mi piace leggerne.
E sì, ammetto che devo sembrare pazzo a discuterne in questi termini. La verità è che è stato amore a prima vista col film di Ridley Scott, I Duellanti (“The Duellists”, 1977), è che la mia indulgenza riguarda gli aspetti di quello che una volta si sarebbe detto essere confronto o contesa tra gentiluomini. Ed è questo concetto, quello di gentiluomo, che si è perso per sempre. La disciplina cui esso sottende, il garbo, il rispetto, la capacità di tenersi a freno. Non so se sia un bene o un male che sia sparito, questo concetto.
Sul resto siamo concordi: è di violenza che si tratta. Violenza educata, almeno in teoria. Non direi mascherata, perché nei duelli tra gentiluomini, spesso soldati, essa era dolorosamente reale. Ma, sempre in teoria, essa era rapida, cessava con essa anche l’offesa, il motivo del contendere, l’odio. Il tutto a una sola, imprescindibile condizione, il far salvo l’onore. Altro concetto questo, l’onore, ormai snaturato, che sa di fascino antico.

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“I Duellanti” fu sceneggiato da Gerald Vaughan-Hughes da un racconto breve di Joseph Conrad, “The Duel” (conosciuto anche col titolo di “Point of Honor”). Quest’ultimo si basava sulla storia vera di due Ussari dell’esercito napoleonico, Dupont e Fournier, i quali, a partire dal 1794 e per i diciannove anni successivi si batterono in duello almeno 30 volte per, si dice, uno sgarbo ricevuto da Fournier da parte di Dupont, latore di un messaggio particolarmente sgradito al primo.
Nel film i contendenti ne ricalcano persino i nomi, Dupont è D’Hubert (Keith Carradine), Fournier è Féraud (Harvey Keitel). È il debutto, se non erro, di Ridley Scott alla regia di un lungometraggio, avendo diretto fino ad allora solo un corto e una serie di episodi si svariate serie televisive.
Era ancora fresco il ricordo del “Barry Lyndon” di Kubrick (1975) e di tutte le magie ottiche e visive che quest’ultimo era stato in grado di ricreare tramite lenti grandangolari e sfruttando sapientemente solo la luce naturale.
Ispirazione nella tecnica, quindi, e magistrale rievocazione delle uniformi dell’esercito francese all’epoca dell’Imperatore Bonaparte. I set utilizzati furono tutti veri, ma non per un eccesso di neorealismo, bensì per semplice mancanza di fondi.
Circostanze permettendo, quindi, fu tempo ben speso.

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Oltre ai duellanti del titolo, giovani attori, ma già superiori alla media per portamento e immedesimazione, è il concetto stesso di duello, quello al quale più volte si concedono riflessioni lungo l’arco della pellicola, per bocca dei protagonisti.
La storia vera dei due Ussari è fedelmente riproposta. Féraud è un duellista, forse assetato di sangue, forse per spregio della propria e della altrui vita, forse è solo un violento imbecille. Costui è in ogni caso un personaggio lineare. Immediatamente percepibile, comprensibile e, ritengo, difficilmente giustificabile.
D’Hubert, d’altronde, è tutto tranne un uomo di pace. È pur vero che negli anni di Bonaparte la Guerra fu la vera padrona dell’Europa e che per un uomo che volesse fare carriera rapida, non c’era niente di meglio che combattere al suo seguito e affidarsi alla buona sorte. Ma, c’erano tanti altri modi di vivere. D’Hubert sceglie, quindi, di essere un soldato, un uomo di guerra. Eppure stupisce il fatto che egli accondiscenda, rischiando la vita ogni volta, al concetto dell’onore di Féraud che, col passare degli anni, dapprima sostenuto e aderente al codice cavalleresco, non scritto, ma generalmente accettato, si tramuta per diventare odio puro che sfrutta a suo vantaggio quelle stesse regole di comportamento.
Ciò che coinvolge e che induce a riflessioni e a una paradossale ammirazione è, come ho già detto, la capacità di mantenere a freno l’impulsività e di procedere ad affrontare il proprio avversario ad armi pari e a pari condizioni.
L’inizio, la causa scatenante il battersi non è mai stata importante. È ovviamente una scusa. Un motivo qualunque, ledere l’onore di una dama o quello dell’imperatore, è il primo passo. L’onore diviene poi personale. Quel rispetto che può nascere dal non commettere atti di codardìa, dall’affrontare, sempre e comunque il proprio avversario per concedergli soddisfazione. Non importa che egli la meriti oppure no. L’importante è essere lì. E non fuggire.

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Puoi non batterti se

1) siete lontani: impossibilità fisica.
2) siete di grado diverso: è contro le norme disciplinari
3) la nazione è in guerra: i duelli fra le nazioni hanno la precedenza

Così come i duellanti non riescono a spiegare il motivo per il quale si battono, coloro che gli sono intorno riescono a vedere il duello per ciò che è: un’idiozia. Per di più fatale.
Ma neanche loro osano intromettersi, così com’era uso comune. E, attenzione, parliamo di un uso sotterraneo. Non ufficiale, ma tacitamente accolto.
Il duello quale metodo onorevole per risolvere ogni disputa.
Io mi trovo dalla parte di D’Hubert. Forse lo siamo tutti dalla sua. Fra i due personaggi, ignoro se a questo punto storici o meno, è senza dubbio il più razionale. Ma anche quello che incute più paura. Quello che maggiormente dimostra che persino un uomo civilizzato, acculturato, incline al dialogo e a un serata in compagnia di amici a bere del buon vino e chiacchierare, non è che si trasformi, ma sia sempre capace di battersi ferocemente, come un animale.
Ed è proprio questo che atterrisce. La consapevolezza che l’uomo razionale e l’uomo selvaggio coesistono sempre.

Altre recensioni QUI

Fonti e approfondimenti:
I Duellanti” su IMDb
I Duellanti” su Wikipedia ENG

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  • […] In realtà a me rammenta tutt’altro film e tutt’altra ambientazione. Mi riferisco a I Duellanti del 1977, a sua volta tratto da una novella di J. Conrad, The Duel: A Military Story, pubblicata a […]

    • 13 anni ago

    Bella recensione, anche se quello che per te atterrisce (la consapevolezza che l’uomo razionale e l’uomo selvaggio coesistono sempre) è una cosa che m’è sempre sembrata scontata…

    • Ah, ma hai ragione. Il mio non è un ragionamento originale, tanto per cominciare.
      Esiste da sempre, ovvero da quando esiste la civiltà.
      Che ti posso dire, a me spaventa questa consapevolezza [ma mi consola anche, in un certo modo], mentre la maggioranza si illude che col progresso la nostra vena istintiva si sia assopita del tutto. È questo aspetto che volevo sottolineare e non credo di esserci riuscito, in effetti… 🙂
      Un po’ come si immaginano gli alieni, no? Talmente civili da sembrare quasi stupidi.

  • Umh pellicola diversa dai miei canoni, ma il periodo in cui è uscito era buono cinematograficamente parlando, quindi non c’e nessun motivo per non guardarlo.

    @Ferruccio Benvenuto :), hai un gravatar con la bocca “cucita” ehehe 😀 asd

  • ahahahahahha 😆
    Touché.
    Ehm… non per essere pignolo, ma manca il luogo del duello. O lasci scegliere me?
    E poi io avrei dovuto scegliere l’arma, visto che sono stato sfidato. O così mi sembra di ricordare…

    Sugli utilizzi alternativi, io li consiglierei a certi sceneggiatori.
    Ma non anticipiamo i tempi.

    • 13 anni ago

    ORRORE!!!
    Voi messere mi avete recato offesa.
    Siete ufficialmente sfidato a duello con la medesima arma, la quale si presta ad utilizzi alternativi. Ne va dell’onore della stirpe!
    L’altro articolo me l’ero perso. Molto bello.

    • 13 anni ago

    Non saprei. Se ci fossero stati i vampiri, forse.
    Scherzo! Anche se un bel film con quelli della mia specie non mi dispiacerebbe.

    • 😈 Questo è per te:

      paletto

      Ficcatelo dove sai. Ovvero nel… petto.
      Tu scherzi, ma in realtà lo stavo scrivendo già. Solo che sta venendo fuori un mezzo pastrocchio. E poi smettetela di anticipare le mie mosse!
      È davvero sgradevole…

      🙂

      P.S.: credo tu ti sia perso questo QUA

  • Si la recensione mi è piaciuta e vado anche a cambiare l’avatar,

    grazie per il benvenuto:-)

  • @ Alex
    Scrivere di Barry Lyndon è molto, ma molto più impegnativo. Kubrick è da prendere seriamente. Poi è uno di quei film sui quali si è detto di tutto.
    Anche de I Duellanti, se è per questo. Tant’è che ho ridotto al minimo la parte tecnica dell’articolo per concentrarmi su quella interpretativa.

    Io sono affascinato più che altro dal duello al primo sangue. Anziché una querela che dura quattro, cinque anni, un graffio e si risolve tutto. Vuoi mettere?

    😀

    @ Ferruccio
    Benvenuto! 😉
    Spero ti sia anche piaciuta, la recensione…
    La musica di Barry Lyndon apparteneva a quel periodo storico, tranne che per un brano che ora non ricordo. Questa fu composta ex-novo. Solo flauto, credo anche per i suddetti motivi economici.
    La moderazione è attiva solo sul primo commento, ndr.
    E se vuoi privarti di quest’avatar orrendo toccato in sorte vai su it.gravatar.com. 🙂

  • Anche io mi aspettavo Barry Lindon, però va be’ mi sono letto lo stesso la recensione.
    Ricordo di averlo visto questo film , ma non mi aveva impressionato al contrario di Barry Lindon che però aveva avuto a suo vantaggio una colonna sonora strepitosa, parere personale ovvio.
    🙂

  • Ah, le sinergie tra blog, che bella cosa 😉

    Tra l’altro mi aspettavo questa recensione dopo la boutade sul mio blog, anche se ero indeciso con Barry Lyndon 😉

    Il valore de “I duellanti” è incontestabile, non a caso il giovane cast (attori e regista) sarebbe diventato di classe top da lì a pochi anni… Ma da quanti secoli non lo passano in TV? Credo che sia davvero uno dei film che ho visto meno in televisione, a dispetto dei suoi meriti.

    Sulla pratica del duello ci sarebbe molto da dire. Ogni usanza è figlia del suo tempo. Di certo si tratta pur sempre di violenza, mentre ora siamo dominati da questa patina di apparente civiltà.
    Ma sarà vera civiltà una giustizia lentissima, che dà ragione generalmente a chi ha l’avvocato più ammanicato e costoso? Ovvio, non si tratta di rispolverare la pratica duellistica, anche se sarei curioso di vedere certe note facce di palta confrontarsi a pistolettate piuttosto che a colpi di querela o di diffamazione sui giornali.

    Come fai notare tu nell’ultima parte della recensione siamo pur sempre dei barbari, anche se parliamo in modo acculturato e ci comportiamo da viveur. Solo che ora forse siamo anche più pavidi, più ipocriti. Qualcuno la chiama, appunto, civiltà 😉