Antologia del Cinema

Distretto 13: le Brigate della Morte (1976)

Nel ’76 ci sono nato. Proprio alla fine. Gran bell’anno. Seconda metà dei Settanta. Quando Carpenter arrivò a mostrare la cosiddetta “scena del gelato”. Quella che mai era stata mostrata da nessuno.
Importante, per il realismo e la crudezza del film, Distretto 13 (Assault on Precinct 13) e per di-mostrare, ancora una volta se fosse necessario, come funziona la censura, ovvero solo con le chiacchiere. Se ne parlava qualche giorno fa nel blog di Alice, QUI.
Se avete visto questo film, sapete bene a quale scena si faccia riferimento: leggenda vuole che la Censura, trovandola scioccante, minacciò un divieto pesante. I produttori si limitarono ad avvertire John Carpenter della possibilità di tale divieto e successivamente distribuirono il film completo della scena in questione. Un po’ come fece Hitchcock con la scena della doccia in Psycho. Non ci furono tagli e, chissà come, la Censura si convinse del contrario.
Questo tanto per dire di quali bambocci essa, qualunque cosa sia, sia composta: moralisti e bacchettoni.
Ma ora parliamo del film, perché è ingiusto sottrargli altro spazio.
Carpenter, il maestro. Quello che ha voluto da sempre girare un western. L’ha sempre voluto. E l’ha sempre fatto, mascherandolo. Però, in questo film la trama è classica: difensori barricati in un edificio e orde di assalitori disumanizzati. Vi ricorda qualcosa?
Sì, siamo proprio nel territorio di un altro regista e di un genere sempre presente su questo blog: George A. Romero.

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Il gusto di questi film è la leggerezza e la spontaneità con le quali vennero girati. Ve la immaginate la scena? Ci riuscite davvero? Voglio dire, un tizio va da Carpenter, gli mette in mano dei soldi e gli fa: tirane fuori un film, purché spenda poco. E nessun’altra minchiata moderna su marketting (con due t) e comunicazione astrusa.
E Carpenter, da professionista, si mette al lavoro. Ne trae uno score, questo QUI, che incarna il film stesso e ti si fissa nella mente, volente o no, e si mette all’opera, soprattutto divertendosi e facendo divertire tutti quelli che lavorarono con lui, a cominciare dagli studenti chiamati a interpretare gli assalitori, sporchi di sangue finto.
E Distretto 13 cos’è? Un assalto, un’ora e mezza di combattimenti senza tregua, perché una gang losangelina, i Cholo, praticanti rituali voodoo, ha giurato vendetta contro un distretto di Polizia e i suoi occupanti, chiunque essi siano.
Incredibile a dirsi, ma la trama è tutta qui. E da questa cosa scritta di fretta, John riesce a trarre momenti irripetibili.

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Tanto per cominciare Los Angeles, che siamo abituati a vedere inquadrata dalla parte di Downtown, la parte ricca e bella, coi grattacieli di vetro e metallo, lucidi e imponenti. Ma anche lì, la notte, si deve camminare armati. Nelle periferie sterminate, poi, è meglio non muoversi. Lo era nel 1976, e lo è anche adesso. Una terra di nessuno. Set perfetto per un western trapiantato nella metà dei Settanta.
Tramonti da cartolina, arancioni e violacei a causa dello smog, highways sterminate, e piccole auto di pattuglia che possono poco o nulla contro gang che contano migliaia di affiliati.
Un giovane tenente, Ethan Bishop (Austin Stoker), è chiamato al suo primo incarico dopo la promozione, sorvegliare la chiusura del Distretto 13, causa trasferimento dello stesso. In esso, in attesa che i tizi della compagnia telefonica e della luce stacchino i rispettivi impianti, rimangono un agente, due donne, e degli ospiti inattesi, dei detenuti accompagnati lì da alcuni agenti di custodia perché un prigioniero sembra accusare sintomi tipici della polmonite.
Nel frattempo, in quello stesso quartiere, avviene un fatto di sangue memorabile, nei pressi di un furgone dei gelati. Violenza gratuita e immotivata, perciò, dal punto di vista narrativo, pura e sublime. E da quel fatto si susseguono una serie di vendette che si incrociano, i cui esiti vanno a concentrarsi nel Distretto 13.

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L’assedio dura il tempo del film. Nella finzione scenica un’ora, forse due, forse di meno. Ma da spettatore si vorrebbe non finisse mai.
Personaggi vividi che in poche righe di dialogo restano memorabili, tutti. A cominciare dal tenente Bishop, che cita episodi biografici della vita di Hitchcock, i detenuti Napoleone Wilson (Darwin Joston) duro e disilluso, un condannato a morte che affronta la morte in una notte di follia, e Wells (Tony Burton) e soprattutto Leigh (Laurie Zimmer), personaggio femminile raro e magnifico.
Tutti sono superbi, e risultano tali al buio di piccole stanze, dopo aver sparato e combattuto, e scambiatisi sguardi pregni di significato.
Menzione particolare per gli esterni del distretto, coperti dalle tenebre e sistemati, di volta in volta, dagli assalitori in modo che alle pattuglie di passaggio la situazione appaia normale.
Eppure fanno effetto gli inseguimenti senza tregua, accompagnati dal solito score, nella notte più buia, quando l’unica salvezza è la luce non del distretto, ma di una cabina telefonica nel bel mezzo di un prato dove non spunta neppure un albero, tanto per sottolineare l’inutilità di quella vana speranza.

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Napoleone ha il male negli occhi, come in C’era una volta il West. Personaggio ineluttabile, cattivo nel codice genetico, più che nell’indole, o semplicemente fuori tempo, appartenente a un’altra epoca, per il quale il legame con Leigh può esistere solo e soltanto in questa notte fugace, in cui tutto è possibile, perché sospesa in una realtà altra, terribile e ferale.
Insomma, poetica della fine, che raggiunge l’apice nell’operaio della compagnia dei telefoni, grondante sangue sul tetto della macchina della polizia e nella volontà di rinchiudersi in una stanza e aspettare, armati di soli otto proiettili, le orde degli assalitori. E poi sia quel che sia.

Altre recensioni QUI

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    • 13 anni ago

    Ho fatto i compiti a casa e ieri sera l’ho guardato. Già dai titoli di testa me ne sono innamorata: grandioso!

    Ho solo una domanda:
    “Personaggi vividi che in poche righe di dialogo restano memorabili, tutti. A cominciare dal tenente Bishop, che cita episodi biografici della vita di Hitchcock”

    Ma parli dei racconti di infanzia? Erano citazioni? Che ignoranza…
    L’ho visto in inglese, non vorrei che mi fosse sfuggito più di qualcosa.

    La sequenza del gelato è una sequenza idolo. Ma pure quella iniziale e centrale e finale e… mamma mia, filmone!

      • 13 anni ago

      Sì, il ricordo d’infanzia di Bishop è un vero ricordo dell’infanzia di Alfred Hitchcock, ovvero di quando a sei anni venne spedito dal padre in una stazione di polizia con un biglietto in mano…

      😉

      Gran bell’avatar! 😀

    • 13 anni ago

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    • 13 anni ago

    Ma lol!
    Ragione in più per scriverci su qualcosa…

    • 13 anni ago

    Anche tu hai amato The secret of Kells? L’ho visto un paio di sere fa e non potevo credere ai miei occhi… Inutile dire che, perversa come sono, sono andata ad affittarmi dei libri sulle varie leggende celtiche a cui si ispira. Appena me li leggo, magari scrivo qualcosa…

      • 13 anni ago

      A dire il vero, mai sentito. 😀
      Però sono curioso di leggere i tuoi articoli in merito.

      😉

    • 13 anni ago

    Napoleone Wilson è un personaggio magnifico,una sorta di pistolero moderno come lo straniero senza nome di Eastwood.Ottima recensione Hell,cogli proprio l’anima del film.

      • 13 anni ago

      @ Fra
      Grazie. Personaggio memorabile, Napoleone… 🙂

      @ alice
      😉
      Bello il nuovo avatar!

    • 13 anni ago

    Ecco, questo mi manca. Ovviamente colgo l’occasione e recupero (impazzirò a causa di tutti questi imput!).

    E grazie per avermi citato, un onore! .-)

    • 13 anni ago

    No, niente recensione! Però potrei rivedermelo e scriverla 😉

    • 13 anni ago

    Lacrimuccia.
    Davvero una recensione bellissima. Hai in mente di ripassare tutto Carpenter? Ti prego, fallo!

      • 13 anni ago

      Grazie mille. 🙂

      Be’, di Carpenter ne ho parlato parecchio e ne parlerò ancora. Le rece le trovi nell’elenco recensioni. Ti consiglio quella di Grosso Guaio… se ti va di leggerla.

      😉

    • 13 anni ago

    Sì, sì, il mio era solo un appunto tanto per rompere gli zebedei. Il film è un cult assoluto e i cattivi da soli valgono la pochezza di budget (che comunque a volte è un valore in più, come sappiamo entrambi).

    In “Nido di vespe” i cattivi hanno più o meno lo stesso fascino. Sono criminali di guerra albanesi, di cui non si vede mai il volto (coperto da visori notturni, da qui la somiglianza con le vespe) e che non parlano praticamente mai.
    Potrebbero piacerti!

      • 13 anni ago

      Ci puoi giurare. Sembra quasi un’equazione: pochi soldi = bel film.
      Ma di questo Nido di Vespe non hai scritto una recensione?

    • 13 anni ago

    Gran bel film!
    Se devo essere sincero le scene d’azioni di “Distretto 13” le ho sempre ritenute perfettibili. Ciò che invece funziona alla grande è l’atmosfera d’assedio, e poi i cattivi, i Cholo.

    Il remake è senza infamia e senza lode, praticamente non lascia il segno pur non essendo propriamente brutto.

    Il vero erede di “Distretto 13” è il sottovalutato – e a mio parere splendido – “Nido di vespe”.
    Poi vabbé, son pareri personali…

    Ottima recensione! 😉

      • 13 anni ago

      Boh, forse le scene d’azione rientrano nel budget risicato. Non dimentichiamo che si trattava di studenti universitari. Per certi versi, però, specie nell’ultima sequenza, sono davvero simili agli zombie romeriani.
      Il remake l’ho saltato a piè pari. E Nido di Vespe lo devo recuperare assolutamente.

      Thanks! 😉

    • 13 anni ago

    Bellissima recensione! 🙂

      • 13 anni ago

      Thanks! 😉

      Recupero Carpenter per dimenticare Carpenter...